Martedì 28 Ottobre 2025 14:10
L’arcivescovo di Smirne a San Policarpo: «La fede poggia sulla testimonianza dei martiri»


Kmetec ha incontrato la comunità intitolata al martire di cui è successore, presiedendo la Messa. Il viceparroco don Riccobene: «La comunione tra le Chiese, cammino condiviso di speranza»
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Il filo rosso della testimonianza intrecciato tra speranza e martirio ha unito, nella mattinata di domenica 26 ottobre, la comunità di San Policarpo a Roma con l’antica Chiesa di Smirne (attualmente Izmir). In un clima di profonda comunione, i fedeli della parrocchia romana guidata da don Claudio Falcioni hanno avuto la gioia di celebrare l’Eucaristia insieme all’arcivescovo di Smirne fr. Martin Kmetec, successore del santo martire a cui la parrocchia è intitolata. La celebrazione ha assunto i contorni di un pellegrinaggio alle radici stesse della fede apostolica.
A introdurre l’arcivescovo è stato il viceparroco don Angelo Riccobene, che ha sottolineato il valore di questa presenza: un legame ideale con una Chiesa antica e viva che ricorda come «la comunione tra le Chiese è cammino condiviso di speranza e di perseveranza». Citando proprio le parole del santo titolare indirizzate a Ignazio di Antiochia, ha ricordato l’impegno comune di tutti i credenti: «Perseveriamo senza posa nella nostra speranza e nel pegno della nostra giustizia che è Cristo Gesù» (Lettera di Policarpo ai Filippesi).
Nell’omelia, l’arcivescovo Kmetec ha preso le mosse dalla parabola evangelica del fariseo e del pubblicano (Lc 18,9-14), figure speculari della presunzione e della misericordia: un dualismo che, ha spiegato, trova una sintesi nella figura di san Paolo. Anch’egli fariseo, «legato alla legge, così intensamente da perseguitare la Chiesa», Paolo sperimenta la caduta «nella polvere, nella miseria umana» sulla via di Damasco, ma è proprio lì che «il Signore Risorto vince le sue tenebre». Diventa così apostolo della Buona Notizia, trasformato dall’opera della misericordia divina.
Questo cammino di trasformazione, ha proseguito l’arcivescovo, culmina nella testimonianza più alta. Infatti dalla prigione di Roma, ormai prossimo alla fine, Paolo può scrivere a Timoteo: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede» (2Tm 4,7). Questo, ha sottolineato monsignor Kmetec, «fu il grande esempio di san Policarpo». Anche Policarpo, infatti, alla fine della sua vita, poté benedire Dio «perché mi hai giudicato degno di questo giorno e di questa ora di avere parte al numero dei martiri» (dal Martyrium Polycarpi). È su questa fedeltà che si fonda la Chiesa. «La fede nella Chiesa poggia sulla testimonianza dei martiri», ha affermato con forza l’arcivescovo, ricordando l’immagine suggestiva del martirio di Policarpo, dove il fuoco «si dispose in a forma di arco, come la vela di una nave gonfiata dal vento», quasi a simboleggiare l’agire della Chiesa spinta dallo Spirito anche nell’ora della prova più dura.
La celebrazione si è così conclusa con un richiamo paterno a non temere l’apparente insignificanza dei propri sforzi o la solitudine della testimonianza, la stessa vissuta da Paolo «nella povertà e nel non-senso apparente» della sua prigionia. I martiri, ha ricordato il vescovo successore di Policarpo, «ci invitano a guardare Cristo con perseveranza e coraggio, a sperare contro ogni disperazione», certi che Dio rimane «misericordioso, presente e vincitore sul male». (Davide Imeneo)
28 ottobre 2025
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