Giovedì 30 Ottobre 2025 14:10
Guerre dimenticate: i doveri dell’informazione


L'incontro dell’Ordine dei giornalisti del Lazio con Vicariato di Roma e Articolo 21. Albanese: «Del Sudan non si parla». Goracci (Tg3): «Raccontiamo tanti eventi senza esserne stati testimoni»
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Che cosa hanno in comune la “macchina di Majorana”, alcuni titoli usati nei giornali italiani e il racconto sui fatti del 7 ottobre in Israele? Una visione della verità spesso distorta, che considera l’esperienza e il controllo delle fonti un esercizio adatto a una casta di cittadini privilegiati, rinunciando spesso a un’informazione completa e di qualità. È questa la cornice nella quale si è inserito l’incontro di oggi, 30 ottobre, dal titolo “Il racconto delle guerre dimenticate utilizzando le parole per costruire ponti e non muri”. Promosso dall’Ordine dei giornalisti del Lazio in collaborazione con il Vicariato di Roma e Articolo 21, l’appuntamento è stato ospitato nel Palazzo del Vicariato.
Circa cento giornalisti hanno seguito con partecipazione le riflessioni di personalità istituzionali, colleghi ed esperti dell’informazione, con la moderazione di Elisa Marincola, portavoce di Articolo 21. Un punto di partenza, quello sulle guerre dimenticate, che non può prescindere da dati sconcertanti. Basti pensare che oggi ci sono più di 50 conflitti nel mondo, basti pensare ad Haiti, colpita anche da una catastrofe naturalistica, o ai Paesi dell’Africa meridionale e orientale dove vivono 85 milioni di persone in condizione di grave indigenza.
«Questo palazzo ci ricorda che Roma è Caput et Mater», ha esordito il padre comboniano Giulio Albanese, direttore dell’Ufficio per le comunicazioni sociali della diocesi di Roma oltre che del Centro missionario diocesano, che ha raccontato le guerre dimenticate in Etiopia, Sudan, Eritrea. «Siamo noi comunità ecclesiale e noi cittadini romani a dover dare il buon esempio, occupandoci delle periferie della città e del mondo. Non si è parlato abbastanza delle ultime vicende del Sudan, che probabilmente verrà ulteriormente spartito tra fazioni. A chi si chiede cosa questo abbia a che vedere con la nostra realtà quotidiana ricordo, tra le emergenze umanitarie mondiali, i milioni di profughi in Sudan. Gli unici Paesi africani di cui si parla sono quelli interessati dal Piano Mattei».
«Se non ci occupiamo di periferia, rischiamo che questa ci arrivi addosso», ha argomentato Beppe Giulietti, coordinatore Articolo 21. «Da Associazione Carta di Roma apprendiamo che l’Africa occupa l’1,5 % degli spazi dei media italiani; questo crea un’assenza di contesto, perché se non sappiamo cosa avviene in certi continenti non sappiamo nemmeno decifrare le notizie che ci arrivano da quegli stessi Paesi. La Siria – ha continuato – annovera lo stesso numero di giornalisti uccisi della Palestina, ma il silenzio dell’informazione, l’assenza di una voce autonoma che lo testimoni, condanna queste vittime all’oblio. A Gaza i media non sono ammessi, non c’è possibilità di sapere cosa avvenga davvero, inoltre c’è stato il completo silenzio sui due giornalisti ucraini uccisi di recente. Noi giornalisti dobbiamo stare dalla parte di chi viene colpito, indifferentemente dalle fazioni e dagli orientamenti politici».
Sulle leggi a tutela della libertà di informazione si è espresso anche Guido D’Ubaldo, presidente dell’Ordine dei giornalisti del Lazio, protagonista di un’audizione parlamentare per il recepimento della normativa europea anti-Slapp. «Si tratta di una legge concepita per proteggere giornalisti, attivisti e ong da azioni legali pretestuose per silenziarli, che non è stata ancora recepita in Italia. Inoltre, in 300 abbiamo manifestato a supporto dei giornalisti uccisi a Gaza, ricordando anche le vittime di altre guerre. Noi crediamo che i giornalisti abbiamo il diritto di avere libero accesso ai luoghi di guerra, ovunque esse siano».
L’inviata del Tg3 Lucia Goracci ha rilevato come i cambiamenti nel mondo dell’informazione riflettano anche quelli della società: «Oggi raccontiamo tanti eventi senza esserne stati davvero testimoni. Come mi ha detto di recente una donna iraniana, non si può sempre parlare di Iran senza esserci mai stati! E assistiamo all’affermarsi di figure che disintermediano il rapporto tra la società e le istituzioni, come gli influencer che raccontano la realtà ed esercitano grande potere sui politici, ponendo a rischio la nostra libertà e la democrazia, con un’informazione on demand». Numerosi gli spunti emersi dagli altri giornalisti intervenuti, da Riccardo Cristiano a Vincenzo Nucci, Roberto Natale, Annalaura Bussa.
30 ottobre 2025
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