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Venerdì 31 Ottobre 2025 11:10

La giustizia riparativa, per una pena che rieduca



L'incontro sul progetto Comunità educante con i carcerati, promosso dalla Pastorale carceraria della diocesi di Roma. Trincia: «Un'alternativa valida al carcere, strada da percorrere con urgenza»

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Da una giustizia retributiva a una riparativa, da una pena che è solo condanna a una che rieduca. È la strada indicata dalla Pastorale carceraria della diocesi di Roma, che ha ripreso a pieno regime le attività del nuovo anno pastorale, con l’incontro di ieri, giovedì 30 ottobre, al Pontificio Seminario Romano Maggiore con Giorgio Pieri, coordinatore e ideatore del progetto Comunità educante con i carcerati (Cec) della Comunità Papa Giovanni XXIII.

«Non bisogna parlare di pene alternative ma educative – ha esordito – e aprire gli orizzonti al mondo del volontariato, di chi va all’interno delle carceri non per giudicare ma per educare». Per Pieri, che è anche un diacono, «fare comunità è fondamentale per tendere concretamente la mano a chi è in carcere». La Cec infatti accoglie i detenuti che hanno meno di quattro anni di condanna da scontare o anche chi è “solo” imputato, come precisa Pieri, «con l’obiettivo di costruire qualcosa al di fuori e non al di dentro del carcere, quindi per il dopo». Con i suoi oltre 25 anni di esperienza ha portato la sua testimonianza «sul ruolo del singolo volontario: è colui che ama gratuitamente, in modo puro, incondizionato, non chiede nulla». Insomma, il Vangelo al servizio di chi è in carcere, con lo scopo «di cambiare un sistema oggi malato, quello carcerario italiano – racconta sempre Pieri -, che non riesce ad arginare la piaga di circa il 75% di ex detenuti che finisce per delinquere ancora, spesso con reati ancora più gravi». Di qui la visione di «Chiesa come ospedale da campo, come diceva Papa Francesco».

A dialogare con gli oltre 60 presenti tra volontari, religiosi, religiose e operatori del settore, anche Giustino Trincia, direttore della Caritas di Roma, a cui fa riferimento la Pastorale carceraria. «Un’alternativa valida al carcere non solo è possibile ma è una strada da percorrere con coraggio e urgenza – ha spiegato -, per rispondere alle sofferenze inutili e alla violazione dei diritti fondamentali. Si tratta di fratelli e sorelle che pagano, giustamente, per i reati commessi ma questo non deve mai far perdere di vista l’umanità». Per Trincia la strada delle Comunità educanti è quella giusta «perché – ha aggiunto – sta crescendo la sensibilità anche tra i vari attori della giustizia, dai magistrati agli avvocati, ai direttori delle carceri, e tra le forze dell’ordine, anche loro spesso costrette a condizioni pesanti e che si scontrano con i limiti e le contraddizioni dell’attuale sistema detentivo».

Il coordinatore del progetto Cec ha portato all’attenzione dei presenti anche la novità, risalente allo scorso 15 settembre ma passata in sordina, dei decreti attuativi circa le nuove disposizioni in materia di accoglienza e reinserimento dei detenuti, in particolare con la creazione di un albo delle comunità. «Un piccolo ma fondamentale passo nella giusta direzione», ha commentato, per poi citare la sua esperienza con la Comunità Papa Giovanni XXIII. «Dal 2004 a oggi abbiamo accolto circa 4mila detenuti senza nessun riconoscimento economico, né un contributo. Pensate alle potenzialità avendo molte più risorse a disposizione». Il tutto, ci tiene a precisare, in un’ottica «di estremo rispetto soprattutto per le vittime o i familiari delle vittime di chi ha commesso un reato. Essere comunità educante infatti – ha concluso – non significa banalmente ridare una vita dopo la detenzione, ma dare a chi ha sbagliato consapevolezza dei propri errori, per diventare una persona nuova e restituire tale rinascita anche a chi ha sofferto per causa sua».

31 ottobre 2025

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