Lunedì 10 Novembre 2025 20:11
Alzheimer, un po’ di passi al giorno e rallenta il decorso
Più si allunga la passeggiata, dicono i ricercatori, maggiori sono i benefici non solo per il cervello, ma anche per l’apparato cardiovascolare -
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Quando si tratta di prevenire l’Alzheimer, ogni passo è importante. Per le persone anziane il cui cervello ha iniziato a mostrare segni molecolari della malattia, ma che non hanno ancora manifestato alcun sintomo a livello cognitivo, fare anche solo 3000-5.000 passi al giorno può aiutare a prevenire o rallentare il declino mentale in media di tre anni.
Lo afferma uno studio pubblicato su Nature Medicine, condotto da Way-Ying Wendy Yau, medico-scienziata specializzata in disturbi della memoria presso la Harvard Medical School di Boston, Massachusetts, e coautrice dello studio.
Più si allunga la passeggiata, dicono i ricercatori, maggiori sono i benefici non solo per il cervello, ma anche per l’apparato cardiovascolare. E, anche se non si raggiungono gli 8.000 passi al giorno, una quantità inferiore a quella raccomandata per mantenersi in buona salute, i risultati sono garantiti.
Il cervello delle persone ad alto rischio di Alzheimer mostra solitamente un accumulo anomalo di due proteine: la proteina β-amiloide (beta-amiloide) e la proteina tau . Sebbene la relazione tra le due proteine non sia del tutto chiara, i livelli di proteina β-amiloide iniziano ad aumentare per primi, seguiti da quelli della proteina tau. Il declino cognitivo sembra, tuttavia, essere più strettamente legato all’accumulo di proteina tau.
I ricercatori hanno, innanzitutto, studiato i dati sulla salute e sull’attività fisica di oltre 33.500 partecipanti adulti presenti nella UK Biobank, un archivio di dati su salute e stile di vita, riscontrando che le persone che camminavano per meno di 5 minuti al giorno correvano un rischio del 13% di avere una diagnosi di malattia cardiovascolare entro 9,5 anni; mentre, coloro che prolungavano le loro passeggiate di almeno 10-15 minuti, avevano un rischio minore, di circa il 4-8%, per lo stesso periodo.
Le persone che facevano passeggiate più brevi avevano anche maggiori probabilità di morire per qualsiasi causa rispetto a coloro che, facendo passeggiate più lunghe, anche se meno di 5mila passi al giorno, ottenevano benefici più evidenti. Per chi, invece riusciva a fare dai 5.000 ai 7.500 passi al giorno, il declino rallentava in media di 7 anni, a conferma di quanto l’esercizio fisico influisca positivamente sul cervello.
“La conclusione molto incoraggiante è che anche un po’ di esercizio fisico sembra aiutare”, afferma Wai-Ying Wendy Yau. “La nostra ricerca indica che non è necessario fare 10.000 passi al giorno, un obiettivo – sottolinea – spesso pubblicizzato, ma che potrebbe essere difficile da raggiungere per alcune persone anziane”.
Il gruppo di ricerca ha anche eseguito per anni controlli regolari su 296 persone che partecipavano all’Harvard Aging Brain Study, un programma che studia le fasi precoci dell’Alzheimer: nessuno di loro, all’inizio dello studio, presentava segni di deterioramento. Per un periodo di 14 anni, i ricercatori hanno valutato, periodicamente, utilizzando test cognitivi e scansioni cerebrali, i partecipanti di età compresa tra 50 e 90 anni, ai quali era stato anche chiesto di indossare un contapassi per misurare il numero di passi compiuti ogni giorno. Questa sperimentazione ha confermato che dai 3.000 ai 7.500 passi al giorno i benefici erano evidenti, ma solo nei partecipanti con elevati livelli basali di beta-amiloide nel cervello, il cui declino mentale è stato rallentato dai tre ai sette anni rispetto ai sedentari. Mentre, non è stato osservato alcun ulteriore rallentamento di declino mentale nei partecipanti che facevano più di 7.500 passi al giorno.
Con la crescente disponibilità dei dispositivi digitali indossabili, il conteggio giornaliero dei passi è diventato una misura accessibile ed utile per avere una comprensione più chiara di quanto l’attività fisica, associata alla progressione della malattia di Alzheimer, se misurata oggettivamente, sia importante durante il periodo preclinico, quando vi può essere una maggiore potenzialità per modificare il decorso della malattia. (Rita Lena)
