Martedì 25 Novembre 2025 08:11
Bartolo ai giovani: «Non fatevi imbrogliare quando si parla di vite umane»


Per anni medico a Lampedusa, già europarlamentare e scrittore, è intervenuto all'incontro "Coltivare il diritto alla speranza", promosso da Caritas Roma. Il direttore Trincia: «Ognuno di noi può fare molto per cambiare le cose. Voi ci potete aiutare»
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Il silenzio è assoluto nella sala conferenze del Polo della Carità “Don Pino Puglisi”. Gli occhi di 80 studenti di due istituti superiori del quartiere Tiburtino III sono puntati sul medico Pietro Bartolo, dal 1991 al 2019 responsabile delle prime visite ai migranti in arrivo a Lampedusa. Per un’ora e dieci minuti, con linguaggio schietto, senza edulcorare l’orrore che tante volte lo ha fatto piangere, ha raccontato il suo «record della vergogna». È il medico che ha fatto «più ispezioni cadaveriche al mondo. Migliaia di bambini, uomini, donne», dice mentre alle sue spalle c’è la fotografia dei cadaveri di 25 ragazzi tra i 14 e i 16 anni «morti come topi in trappola».
Già europarlamentare, scrittore, protagonista del documentario “Fuocoammare”, vincitore dell’Orso d’oro al Festival di Berlino, il medico di Lampedusa è intervenuto ieri mattina, lunedì 24 novembre, all’incontro “Coltivare il diritto alla speranza”, promosso dalla Caritas di Roma in occasione della Giornata internazionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, celebrata il 20 novembre scorso. Una mattinata di riflessione nel Polo della Carità “Don Pino Puglisi” di via Venafro, pensata per gli studenti, che, afferma Bartolo, «devono conoscere la realtà dei fatti, perché ci hanno imbottito il cervello di bugie. Dovete informarvi, scegliere, capire da che parte stare. Non fatevi imbrogliare da nessuno quando si parla di vite umane».
Un racconto, il suo, che ha commosso, che ha provocato più di qualche sussulto, che ha emozionato quando ha parlato di Kebrat e Mustafa. La prima era una ragazza eritrea che era stata dichiarata morta nel tragico naufragio del 3 ottobre 2013 in cui persero la vita 360 persone. Il suo corpo era già stato messo nel sacco mortuario ma durante l’ispezione Bartolo ha sentito un lieve battito cardiaco. Di lì la corsa in ospedale grazie alla quale oggi Kebrat è viva, si è sposata e ha una bambina. Per salvare Mustafa, in grave ipotermia, ha fatto ciò che aveva «visto fare nei film». Si è spogliato, ha stretto il bambino a sé e per tre ore gli ha trasmesso il suo calore fino a quando il bambino si è ripreso. «Ma non è opera mia – dice immediatamente -. Ho pregato».
Da quando è in pensione porta nelle scuole la sua testimonianza, corredata da foto e video, per dire che «quelli che vengono dipinti come mostri, sono adolescenti, bambini, donne, che fuggono da guerre e violenze. Affrontano viaggi che durano anche 12 anni, si indebitano per tutta la vita, per poi morire nel Mediterraneo diventato un cimitero». Al termine del suo intervento i ragazzi hanno applaudito a lungo, colpiti dal racconto di ciò «che si ripete quotidianamente ma di cui nessuno parla». Il nome “Pietro” è stato poi inserito tra le parole scelte dai ragazzi per definire “speranza”, insieme a sogno, luce, condivisione, uguaglianza, futuro.
Un «testimone vivo del nostro tempo», lo ha definito Giustino Trincia, direttore della Caritas diocesana che agli studenti ha rivolto quattro messaggi di speranza racchiusi nei termini umanità, giustizia, lotta e per l’appunto speranza. «Ognuno di noi può fare molto per cambiare le cose – afferma -. Ci dobbiamo muovere nei nostri condomini, nelle nostre scuole e nei quartieri. Voi ci potete aiutare soprattutto per superare la piaga della solitudine. Roma ha bisogno di semi di speranza, di persone che si prendano cura l’uno dell’altro».
Dopo i saluti istituzionali del presidente del IV municipio Massimiliano Umberti, che si è soffermato sull’importanza di fare rete, perché «così si risolvono i problemi del mondo», si sono susseguite varie testimonianze. Maria France Posa, responsabile dell’Area minori della Caritas, ha raccontato degli oltre 8mila giovani incontrati in questi anni. Gli educatori Giorgio e Maria Giovanna – il primo è stato 3 anni e mezzo fidei donum in Ciad con la famiglia, la seconda missionaria in Nepal e in Mali – hanno parlato della bellezza dell’incontro. Don José Tortosa, parroco di Santa Maria del Soccorso, ha ricordato la sua esperienza accanto ai giovani ricoverati in comunità di recupero. Kevin, 17enne della Sierra Leone, accolto in Casa Giona, casa famiglia della Caritas diocesana, ha confessato il sogno di «diventare elettricista, ma anche calciatore».
25 novembre 2025
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