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Venerdì 5 Dicembre 2025 20:12

Destra-sinistra? No, bipolarismo all’italiana, tra chi vota e chi no

L'unico strumento ancora parzialmente valido di protesta e di dissenso è rimasto quello dell'astensione dal voto nelle competizioni elettorali -

#politica
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Sinistra, Destra, Centro, gli italiani non ne possono più. Le malefatte combinate dai partiti politici, rese note da certa stampa denunciante, di proprietà di editori in attività politica, senza che tutti gli altri media, in mano ad altri editori, anch’essi cooptati in attività politica in Parlamento, pur con prove provate, ne rendano minimo conto ai loro lettori.
A chi credere in questo importante campo dell’informazione? Come valutare tali assurdi silenzi da parte di tanti media contrapposti politicamente?
La brava gente nostrana, essendole stata, di fatto ma non di diritto, tolta la parola, ha espresso, come poteva e da lungo tempo, il proprio dissenso avvalendosi di uno degli ultimi strumenti rimastole, rivelatosi purtroppo nel tempo sempre più inefficiente, quello elettorale.
Le ultime elezioni regionali, a tale proposito, rappresentano la dimostrazione più palese che in Italia l’unico strumento ancora parzialmente valido di protesta e di dissenso nei confronti della politica svolta nel Paese, è rimasta quella dell’astensione dal voto nelle competizioni elettorali.
Ciò premesso, quindi, è conseguente il riscontro che al bipolarismo destra-sinistra sia emersa una nuova forma di bipolarismo che, di fatto, è drammaticamente divide in modo traumatico la nostra società: quello tra chi vota e chi non vota.
Quando in un sistema politico vota solo il 40% degli elettori, ciò vuol dire che chi vince, sia pure considerando la vincita, con artifizi politico-propagandistici orchestrati a proprio favore esclusivamente dai politici eletti, con l’inesatta e fuorviante espressione di “larga misura”, parliamo di più o meno il 60% (come avvenuto in Campania, Puglia e Veneto) dei voti ottenuti, tale vittoria rappresenta solo un quarto degli elettori e quindi una enorme parte di minoranza di cittadini.
I nuovi presidenti (anomalamente chiamati governatori) di queste Regioni, ma anche coloro che governano il Paese, sono stati legalmente eletti, ma non rappresentano altro che i loro elettori. Ed invece di gioire per il loro anomalo successo, dovrebbero per serietà, ove veramente ne fossero dotati, preoccuparsene attentamente.
E la situazione di fatto che imperturbabilmente continua purtroppo a ripetersi, dovrebbe allarmare anche i perdenti di queste elezioni, quelli con più o meno il 30% dei voti conseguiti che, per lo scadente risultato elettorale conseguito, rappresentano ancor meno il globale dell’elettorato votante.
L’Italia è stanca della corsa al benessere dei soli politici in attività, aspiranti unicamente, per esclusivi motivi economici personali, a continuare a far politica servendo unicamente i loro partiti, pur di venire di nuovo candidati e rieletti.
Esausta per il danaro loro carpito e mai utilizzato per bisogni primari, quali sanità ed aiuti concreti al paese e alla gente sempre più povera, e speso finanziando la sopravvivenza di enti inutili al paese, quali il CNEL.
La nostra gente è ormai disgustata per il disastro economico generato dall’inefficienza proveniente da ogni colorazione e angolazione politica. Un fallimento ed un tracollo dovuti alla lenta crescita del PIL, rispetto ad altri paesi europei, aggravati da problemi strutturali come l’elevato debito pubblico e da un sistema fiscale percepito come eccessivamente gravoso. A ciò vanno ancora aggiunti i problemi derivanti dalla bassa competitività delle imprese, dalla dilagante corruzione ad ogni livello e dalla scarsa efficacia di numerose istituzioni tra le quali anche quella molto più rilevante del nostro Parlamento.
Quando riuscirà, nuovamente e definitivamente, il nostro Paese, a riavere un Parlamento, dei Consigli Regionali ed a seguire anche Governi nazionali e locali che risultino effettivamente rappresentativi dei cittadini?
Difficile fare previsioni con questa classe politica che ci governa.
Ma sognare e sperare, anche se senza concrete speranze, rende la vita più vivibile. (Pier Francesco Corso)
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