Mercoledì 10 Dicembre 2025 17:12
Il “testamento” di Vargas Llosa


Pubblicata da Einaudi la traduzione italiana de "I venti", a cura di Federica Niola. Un racconto lungo fra la malinconia, l’amarezza e il disincanto, con una punta d’incandescente ironia
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Nel 2020, quando in Spagna uscì Los Vientos di Mario Vargas Llosa (1936-2025), a molti quel racconto lungo sembrò un testamento spirituale. Adesso, leggendo la traduzione italiana di Federica Niola per Einaudi, tale impressione si accresce ancor di più. Il sentimento che ne ricaviamo sta fra la malinconia, l’amarezza e il disincanto, con una punta d’incandescente ironia, a partire dal titolo, I venti, riferito alle imbarazzanti flatulenze di cui è vittima l’anziano protagonista il quale, dopo aver partecipato a una manifestazione contro la chiusura del cinema Ideal, a Madrid, dimentica l’indirizzo di casa e si ritrova a girare per la città senza sapere dove andare.
Si tratta di un letterato travolto dall’innovazione tecnologica che ha scardinato tutte le sue basi, spingendolo ad ammettere, con malcelato disappunto: «L’unico romanziere ancora in vita su questo pianeta è il computer». In tale contesto la solitudine del povero vagabondo pare assoluta. Più volte ripete, senza accorgersi di averlo appena detto, che il grande sbaglio della sua vita è stato quello di avere abbandonato Carmencita. Difficile per lui accettare la decadenza delle facoltà umanistiche. Quasi impossibile adeguarsi all’andazzo generale, bevendo «liquidi medicamentosi che oggi chiamano vino», scegliendo «piatti che sembrano farmaci». La modernizzazione delle Chiese gli fa l’impressione di un cedimento, anche perché, nella sua visione sconsolata, chi non crede più nei preti non trova di meglio che rivolgersi agli stregoni, ai maghi, ai chiromanti. Neppure l’unico amico che lo ascolta, Osorio, sembra in grado di consolarlo.
Fra Puerta del Sol e il Palazzo Reale, il disperso riflette sul mondo nuovo. Quando incontra un gruppo di giovani chiamati “gli squilibrati”, vegetariani attenti ai belletti e alla cosmetica, cerca inutilmente di dialogare con loro. Finisce per assopirsi su una panchina. Al risveglio finalmente ricorda il posto in cui abita, una cameretta stipata di libri nel sottotetto al numero 1 di calle de la Flora. Raggiunge la porta di casa dove scopre la chiave rimasta infilata dentro la serratura. Si spoglia, si lava e si mette a letto fronteggiando una violenta tachicardia.
L’ultima pagina è potentissima e, nella sua infinita umanità, va citata tutta: «Mi sentivo sprofondare in qualcosa di viscoso e confuso, evidentemente non era il sonno ma gli albori, il benvenuto della morte. Non mi ha consolato immaginare che nel giro di pochi minuti (secondi?) avrei saputo se Dio esisteva, se avevamo un’anima destinata a sopravvivere alla scomparsa dell’energia corporea che mi faceva battere il cuore e scorrere il sangue nelle vene, o se in futuro ci sarebbero stati soltanto silenzio e oblio, una lenta decomposizione dell’organismo, finché le lingue di fuoco non avrebbero consumato quella carne sporca e bagnata che già cominciava a imputridire al momento di essere bruciata».
10 dicembre 2025
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