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Venerdì 12 Dicembre 2025 12:12

Trasformazioni delle città occidentali: dalla Polis greca, da cui tutto è nato, alla dissolvenza dell’oggi

L’articolo di Paolo Gelsomini pubblicato sul n.0 di AMAGRAMMA nuova antologia di parole e visioni

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L’articolo di Paolo Gelsomini pubblicato sul n.0 di AMAGRAMMA nuova antologia di parole e visioni a tema della casa editrice PandiLettere.

Trasformazioni delle città occidentali: dalla Polis greca, da cui tutto è nato, alla dissolvenza dell’oggi

di
Paolo Gelsomini

In memoria dell’amico e filosofo Federico Zenga

La città è una creazione storica particolare: non è sempre esistita, ma è cominciata ad un certo momento dell’evoluzione sociale, e può finire, o essere radicalmente trasformata in un altro momento. Non esiste per una necessità naturale, ma per una necessità storica, che ha un inizio e può avere un termine.

Diventa quindi importante spiegare l’origine della città nel mondo antico e anche – per quanto è possibile – il suo destino nel momento attuale. Per fare questo bisogna ripercorrere i grandi cambiamenti dell’organizzazione produttiva, che hanno trasformato la vita quotidiana degli uomini e hanno prodotto ogni volta un salto nello sviluppo demografico.

Da Storia della città di Leonardo Benevolo

La Città come Comunità ed insieme di Luoghi

…Talvolta città diverse si succedono sopra lo stesso suolo e sotto lo stesso nome, nascono e muoiono senza essersi conosciute, incomunicabili tra loro. Alle volte anche i nomi degli abitanti restano uguali, e l’accento delle voci, e perfino i lineamenti delle facce; ma gli dèi che abitano sotto i nomi e sopra i luoghi se ne sono andati senza dir nulla e al loro posto si sono annidati dèi estranei.

Queste parole di Italo Calvino tratte dal suo libro Le città invisibili, introducono il tema del Luogo e del non Luogo negli agglomerati urbani e, di riflesso, il tema dello Spazio pubblico e della sua trasformabilità nel Tempo.

La storia dei Luoghi è la storia dell’Uomo che li ha creati e trasformati, e con essi la storia dello Spazio che contiene le umane vicende e del Tempo che scorre attraverso sogni e bisogni.

Un Luogo per esistere ha bisogno di essere organismo vivente, riconoscibile, distinguibile, vissuto, identificato, ricordato, abitato dal Genius Loci che è fuggito quando l’Uomo ha smesso di ripensare il suo passato, quando ha cominciato a imbalsamare il suo presente in una nuda ragione senza emozione, quando ha cominciato a non sognare più il suo futuro.

In altre parole, quando ha deciso di spezzare il rapporto che lega l’Uomo alla Terra e al Cielo, di separare la Tecnica e la Ragione dalla Poesia e dall’Emozione.

Il Luogo va ben oltre l’identificazione geografica per assumere un significato universale e plurale che attinge a vicende antiche e moderne, a storie documentate ma anche a miti e leggende raccontate e diventate esse stesse storia.

Per creare un Luogo bisogna guardare a quello che è stato definito la memoria collettiva, un insieme di ricordi che sono custoditi nella nostra mente e che sono riferiti all’ambiente, alle vicende umane, alla storia, alle leggende tramandate oralmente attraverso i secoli.

I luoghi come le persone sono diversi e distinguibili l’uno dall’altro, raccontano storie diverse e producono forme urbane diverse con le loro comunità all’interno della città che li comprende. Altrimenti c’è il luogo senz’anima o non Luogo.

Aldo Rossi, il grande architetto e teorico dell’architettura italiana vissuto nel secolo scorso, nella sua spiegazione della Teoria dei fatti urbani, indica il Locus come un fatto singolare determinato dalle coordinate spazio e tempo, dalla sua dimensione topografica, dalla sua forma, ma soprattutto dall’essere sede di memoria.

Le strade, le piazze, gli edifici, i giardini, i ponti, sono elementi di strutturazione del tessuto urbano e segni che nel tempo si trasformano come si trasformano gli abitanti dei luoghi in un processo di simbiosi e di comune percorrenza che creano continuamente scenari urbani mutevoli anche se la forma geometrica non cambia ma cambia il contesto sociale e culturale e quindi la percezione e il significato.

Un tessuto urbano che si racconta e che racconta la sua storia a chi è capace di leggere ed interpretare i segni della città ed i simboli dei luoghi, con la Scienza ma anche con il Pensiero filosofico, con la Poesia, con il Mito.

Questa sintesi di razionalità e simbolismo che ha prodotto legami profondi materiali e psichici tra la città e i suoi abitanti, è stata interrotta da una parte della cultura moderna ammaliata dal predominio del razionalismo, del tecnicismo, della mercificazione dei luoghi, del neoliberismo oggi addirittura superato da giganteschi processi di finanziarizzazione globale che unificano il pensiero, annullano la democrazia economica ed istituzionale, omogeneizzano le città che si sono trasformate o tendono a trasformarsi in metropoli e in megalopoli senza identità, socialità, solidarietà, uguaglianza.

Nei nuovi quartieri e perfino nelle parti storiche delle città, si creano distese enormi al posto delle piazze senza capire il significato della piazza, quinte di edifici tutti uguali che obbediscono solo a regolamenti edilizi, percorsi, giardinetti sparsi, fontane senza memoria storica che si rifanno ad altri Paesi ma non alla nostra esperienza e ai nostri contesti.

Spazi storicamente definiti, percorsi paesaggistici urbani, scorci, vedute, relazioni spaziali e temporali, rispetto dei contesti della città, memoria dei luoghi, non esistono più o tendono a sparire, salvo qualche meritoria eccezione.

Con le posizioni estreme di quella parte di cultura moderna alla quale perfino il sommo architetto e urbanista novecentesco Le Corbusier dette il suo apporto con l’idea della casa macchina per abitare e con la supremazia assoluta del razionale e della funzione, cultura che purtroppo oggi è perfino superata dalla mercificazione e dalla finanziarizzazione guidata da pochi attori internazionali, abbiamo perso la bussola per costruire il Luogo-Città e per guidare le trasformazioni urbane all’interno di quelle comunità dei cittadini che si stanno polverizzando.

L’origine dell’idea di città: la Polis greca e le Città Stato

L’archetipo della città europea ha le sue radici nella polis greca che ha gettato i semi dell’idea di civitas, la città di liberi cittadini, un’idea nuova nel panorama del mondo antico.

Idea di polis e forma urbana si trovarono così a fondersi, all’interno di una parità di diritti e di doveri codificati da leggi discusse e approvate da organi elettivi formati da tutti quelli che per appartenenza a gruppi gentilizi fondatori della polis godevano del pieno diritto di cittadinanza.

Una democrazia imperfetta – si direbbe oggi – e in quanto tale quella concezione non escludeva la perfettibilità delle istituzioni e quindi la trasformazione della polis con l’estensione del diritto di cittadinanza ad altri abitanti del territorio della Città Stato.

La  democrazia della polis che si trasforma crea vita sociale e spazio pubblico e la vita politica porta altre trasformazioni. Non c’è più quel fondamento sacrale immobile del potere regio che aveva distinto il mondo pre-ellenico.

Il pensiero greco, causa ed effetto di ogni mutamento, accomuna la logica e la ragione all’immaginazione attiva, il corpo alla mente, la luce al buio, il manifesto all’occulto, il bene al male, il mondo a tutto ciò che il mondo trascende. Ed è il Teatro, in tutto il suo splendore ed orrore, il rito magico, il luogo di questa sintesi mirabile nella ricerca incessante della verità e nella contemplazione della vita che scorre.

Le ombre sulla parete della caverna di Platone non sono il mondo, ma gli uomini schiavi imprigionati le fissano con bramosia fintanto che uno di loro voltandosi scopre statuette inanimate che proiettano la loro ombra e, aldilà, la luce abbagliante che lo attira verso lo splendore e la meraviglia della conoscenza e della fantasia, della filosofia e della poesia.

Con la cultura greca si gettano le basi dell’Illuminismo occidentale e viene superata nelle arti, nell’architettura, ed anche nella visione della città, una rappresentazione ideale, concettuale, conforme a vedute fisse ed immutabili.

Ci si libera anche dagli ultimi resti del geometrismo e della frontalità arcaica. I Propilei che conducono all’Acropoli di Atene aprono ad una molteplicità di visioni, di scorci prospettici, di mutevoli rapporti con la natura e con i templi.

Viene colto il valore del “momento pregnante”, attimo che fissa il moto fuggevole, l’impressione istantanea, il punto più significativo di un fermo immagine che sta per diventare movimento, di una permanenza che sta per diventare trasformazione. Come nel discobolo di Mirone del 455 a.C. fermo nel gesto atletico e nell’espressione del volto ma pieno di energia potenziale che con l’immaginario proietta il disco nello spazio e nel tempo.

Il Panta Rei, tutto scorre e si trasforma, attribuito ad Eraclito, filosofo di Efeso vissuto dal 535 al 475 a.C., è ripreso dalla tradizione filosofica successiva riguardo al tema del divenire.

Tanto splendore di vita civile e culturale produsse la forma città intesa come organismo artificiale inserito nell’ambiente naturale e ad esso legato da un rapporto delicato e rispettoso che ricostruisce quell’unità di elementi che ha sempre caratterizzato il mondo greco.

L’organismo della città costituisce un tutto unico e si sviluppa nel tempo, ma raggiunge ad un certo punto nel periodo aureo tra il V e il IV secolo a.C. un assetto stabile che si preferisce non turbare con modifiche parziali: le aree private occupate da case di abitazione, le aree sacre con i templi degli dèi, le aree pubbliche destinate alle riunioni politiche, al commercio, al teatro, ai giochi sportivi e ad altri spazi di socialità.

Per i suoi caratteri – l’unità dell’insieme, l’articolazione armonica delle aree e delle funzioni, l’equilibrio con la natura, il limite di crescita urbana – la città greca si è posta nei secoli come modello universale con un’idea della convivenza umana durevole nel tempo.

All’interno di questo modello urbano, in alcune zone appositamente attrezzate – l’agora, il teatro –  i cittadini possono riunirsi e riconoscersi come una comunità organica.

La città greca è quindi un inizio in cui si fondono filosofia, architettura, urbanistica, arte, scienza, cielo e terra, misura razionale e pratica del sentimento e dell’immaginario, pietra e natura, individuo e comunità.

Al principio della storia urbana, intorno all’inizio del III millennio a.C. la città aveva un’origine divina, un’opera scesa direttamente dal cielo alla terra. Le rappresentazioni di un modello perfetto di città erano collocate in tempi e in luoghi remoti, immaginari, utopici.

La civiltà pre-ellenica ebbe al suo centro l’isola di Creta dove erano stati importati elementi delle antichissime civiltà orientali.   Nei due cicli in cui si divide la civiltà pre-ellenica (minoico 2500-1500 a.C. e miceneo 1500-1000 a.C.) sono emerse  testimonianze di insediamenti urbani la cui forma porta al dominio del  sovrano ed al lusso della corte. Non si sono trovati templi, né monumenti o simulacri di dèi.

Di questa civiltà la più alta espressione è il Palazzo, la dimora principesca del monarca e della sua corte, mancando sia il Tempio che sarà il fulcro della civiltà greca, sia la Tomba-Piramide simbolo della potenza degli Egizi.

Nei Palazzi di Tirinto e di Micene il nucleo è costituito dal megaron sala di ricevimento preceduto da un vestibolo colonnato dal quale prenderà forma il Tempio greco.

Altre trasformazioni degli elementi dell’architettura pre-ellenica dettero luogo ai Propilei dei grandi recinti sacri dell’Acropoli di Atene, e ugualmente la Porta dei Leoni che si apre nella cinta muraria di Micene usò il sistema architravato trilitico che costituì il cardine dell’architettura classica greca.

La civiltà micenea decade intorno al 1000 a.C. a causa forse dell’invasione dei Dori, ultima fra le stirpi indoeuropee che entrarono in Grecia, ed inizia un periodo oscuro.

Il territorio della regione divenne troppo stretto per accogliere tutti i popoli discesi ad ondate successive di invasioni. Termina la monarchia ed i nobili diventano nei secoli X e IX la classe di governo.

Solo intorno al ‘700 a.C. la vita rurale inizia a trasformarsi in vita urbana e producendo il commercio e gli scambi dà inizio alla nuova classe borghese.

L’arte e l’architettura del periodo arcaico nei secoli VII e VI a.C. è egemonizzata dall’aristocrazia ed è espressione di un individualismo che scaturisce all’interno di rapporti mercantili della nuova classe borghese. Con l’individualismo e le degenerazioni che portano alla tirannide si aprono le porte per la futura democrazia delle Città Stato  della civiltà ellenica.

La città romana lungo una narrazione continua nel tempo e nello spazio

Al tempo dell’Impero, Roma è considerata la città per eccellenza, la civitas dei cittadini e l’urbs città di pietra che realizza l’unificazione politica di tutto il mondo mediterraneo. Roma inizia come una piccola città senza importanza, al confine fra il territorio etrusco e quello colonizzato dai greci, per poi estendersi fino a diventare la città per eccellenza, capitale dell’Impero.

Diversamente dalla struttura politica che caratterizzò la Grecia fondata sulla potenza delle Città-Stato che non raggiunsero mai l’unità nazionale, Roma, nata dalla fusione di popoli differenti per origine, lingua e costumi, si manifesta centro potente di organizzazione e di unità.

Lo sviluppo di Roma, attraverso le epoche dei Re (753-509 a.C.), della Repubblica (509-31 a.C.) e dell’Impero (31 a.C.-476 d.C.) porta progressivamente alle modifiche del territorio e naturalmente della città.

Con il passaggio dalla Repubblica all’Impero gli interventi edilizi diventano sempre più grandiosi ed entrano in conflitto con la precedente organizzazione della città.

I metodi di colonizzazione dei Romani nel vasto territorio dell’Impero sono accompagnati sempre da grandi costruzioni di infrastrutture – strade, ponti, acquedotti, mura – e da fondazioni di nuove città con fori, templi, teatri, terme, basiliche per assemblee civiche, archi trionfali, circhi, tombe.

L’area dei Fori viene continuamente modificata ed ampliata in un processo che illustra più di ogni altra cosa quell’idea del narrare continuo che è propria dell’arte e dell’urbanistica romana, quel racconto che si snoda lungo lo spazio e il tempo così diverso dal momento pregnante  dell’arte greca che fissa l’attimo denso di energia potenziale.

Così a Roma si succedono le costruzioni dei Fori da Giulio Cesare, ad Augusto, Nerva, Traiano e lungo le colonne vengono narrate come in un film le grandi gesta militari come quelle dell’imperatore Traiano in Dacia.

La città cresce nel corso del suo sviluppo secondo un ordine che garantisce la sua continuità misurata in quartieri, reti stradali, piazze, insule, portici. Le 14 regioni augustee (da cui gli odierni rioni) costituiscono la base del suo ordinamento amministrativo. Le ville suburbane occupano la campagna al di fuori delle Mura. Gli assi delle strade consolari sono circondati da sepolcri, templi, impianti militari e sportivi come è ancora evidente percorrendo la via Appia.

A Roma hanno vissuto fino al III secolo d.C. da 700 mila a un milione di abitanti, la più grande concentrazione umana dell’epoca nel mondo occidentale.

Dopo Costantino, che nel 330 trasporta la capitale a Bisanzio, non si costruiscono a Roma altre opere pubbliche.

L’Impero Romano d’Occidente cade nel 476 d.C. con il suo ultimo imperatore Romolo Augustolo.

La città dopo la caduta dell’Impero romano d’Occidente

Agli inizi del medioevo la vita delle città si indebolisce e in molti casi si interrompe. In altri casi la nuova città nasce sulle tracce di quella antica, ma con caratteri sociali e organizzazioni urbane diverse. Della città antica rimangono le rovine che non fanno più parte dell’impianto urbanistico della città attuale. Gli abitanti si disperdono nelle campagne dove possono ricavare dalla terra il loro sostentamento.

In questa società rurale che forma la base dell’organizzazione politica feudale, le città hanno un posto marginale. Le strutture fisiche delle città romane sono ancora in piedi e diventano rifugi.

Le sistemazioni delle povere comunità urbane producono insediamenti edilizi ed urbanistici spontanei e variabili cancellando ogni differenza tra natura e geometria, conformazione del terreno ed intervento umano, paesaggio naturale e ambiente costruito. Sono abbandonati i criteri tradizionali di perfezione e di piacevolezza visiva.

Mentre in Europa si sta formando la civiltà e l’ambiente medievale, nel mondo mediterraneo è già pienamente sviluppata la civiltà islamica.

Dalla città fortificata dell’Alto Medioevo ai borghi e sobborghi dell’anno mille

Dalla fine del secolo X comincia la rinascita economica dell’Europa con la stabilizzazione degli ultimi popoli invasori, le innovazioni tecniche in agricoltura, l’influenza delle città marinare che hanno mantenuto i contatti con il commercio tradizionale nel Mediterraneo ed influenzato la rinascita delle altre città come centri commerciali.

La città fortificata dell’Alto Medioevo diventa il Borgo e davanti ad essa si formano i Sobborghi che presto diventano più grandi del nucleo originario e necessitano di mura di difesa che includano abitazioni, chiese, abbazie, castelli.

La città Stato medioevale dipende dalla campagna e controlla tutto il territorio ma, a differenza della città greca, non concede parità di diritti agli abitanti della campagna.

La borghesia agiata cittadina, che si svilupperà fino alla metà del XIV secolo, abita al centro mentre le classi più povere ai margini della città.

Le costruzioni cittadine sono lo specchio di questa divisione in classi sociali: la torre del palazzo municipale e il campanile sono i simboli del potere. I quartieri medievali sono densi e le case si sviluppano in altezza.

La trasformazione delle città di origine medioevale attraverso i secoli

Le città medioevali che noi conosciamo hanno ricevuto una forma definitiva nei secoli successivi, dal Quattrocento al Settecento, attraverso la città ideale dell’Umanesimo, il Rinascimento, il Barocco e l’Illuminismo, quando avevano raggiunto una loro stabilizzazione.

Ogni forma architettonica ed ogni concezione dell’assetto urbanistico ha rispecchiato la filosofia, l’ordinamento statuale, il potere politico delle varie epoche.

Ecco un piccolo brano preso da un libro del 1937 Quando le cattedrali erano bianche di Le Corbusier, architetto ed urbanista svizzero del novecento e tra i fondatori del movimento moderno razionalista in architettura:

(….) Le cattedrali erano bianche perché erano nuove. Le città erano nuove e se ne costruivano di tutte le misure, ordinate, regolari, geometriche, secondo un piano (….). Il nuovo mondo cominciava. Bianco, limpido, gioioso, pulito, netto e senza ritorni, il nuovo mondo si apriva come un fiore sulle rovine. Si erano lasciati indietro tutti gli usi riconosciuti, si erano voltate le spalle al passato. In cento anni il prodigio è stato compiuto, e l’Europa fu cambiata.”

La città della rivoluzione industriale

Dopo la metà del ‘700 la rivoluzione industriale cambia il corso della storia urbanistica e il volto delle città.

Con la redistribuzione degli abitanti in seguito all’aumento demografico e alle trasformazioni dei cicli produttivi, con la concentrazione delle fabbriche intorno alle città, gli agglomerati urbani crescono rapidamente come crescono le comunicazioni sul territorio.

Queste rapide trasformazioni, lungi dallo stabilizzarsi, accelerano altre trasformazioni edilizie ed urbanistiche. Prevale il senso di provvisorietà, di sostituzione, di mancanza di controllo pianificatorio del territorio considerato retaggio degli antichi regimi. Forme esasperate di liberismo economico sono praticate dalle classi dominanti che hanno interesse a far valere anche nel campo immobiliare la libertà dell’iniziativa privata. Ma questa anarchia territoriale crea città congestionate e insalubri, che rendono intollerabile la vita delle classi subalterne e invivibile l’ambiente.

La crescita rapidissima della città nel diciannovesimo secolo produce la trasformazione edilizia e viaria del nucleo precedente che mantiene i monumenti delle epoche precedenti, e ammassa nelle periferie i lavoratori delle fabbriche in fasce urbane che si allargano sempre di più e creano quartieri divisi in classi sociali dai ghetti industriali, alle aree più appartate, esclusive e signorili.

In questo contesto vengono contrapposte da ambienti politici illuminati nuove teorie politiche, sociali ed urbanistiche. Nascono nuove utopie di città ideali ma tra la realtà e l’ideale la distanza sembra incolmabile.

XX secolo: Un nuovo modello di città

Dopo le insanabili contraddizioni della città industriale del XIX secolo e il fallimento delle utopie che si posero come alternative ideali ad una realtà urbana sempre più ingovernabile, nel ‘900 si ricerca un nuovo modello di città con una metodologia progettuale rigorosa che distingue le sue parti componenti e le funzioni corrispondenti.

Nella città le funzioni prevalenti sono quelle produttive, terziarie, residenziali, di servizio, culturali, ricreative, motorie. Si creano spazi e relazioni per le attività agricole, industriali, commerciali. La residenza è considerata inseparabile dai servizi e le attività produttive determinano le tipologie fondamentali dell’insediamento umano: l’azienda agricola sparsa per la campagna, la città lineare industriale, la città radiocentrica degli scambi.

Nascono spazi liberi e zone verdi per le attività ricreative; strade con percorsi separati per pedoni, biciclette, veicoli lenti e veloci; parchi cittadini, parchi regionali e nazionali. La città diventa un sistema organizzato in funzioni all’interno di uno spazio unico e una rete di relazioni.

Scrive l’urbanista Leonardo Benevolo nel suo libro Storia della città:

Questa nuova struttura intende superare l’antico dualismo fra città e campagna, e il suo corollario più recente, cioè l’appropriazione privata del territorio urbano, per ricavarne una rendita. Fin dall’inizio gli architetti moderni criticano la combinazione fra interesse pubblico e proprietà privata che sta alla base della città borghese, e indicano l’alternativa da raggiungere: la riconquista del controllo pubblico su tutto lo spazio della città.

Oggi

Ed oggi che cosa è una città? E’ terminato il ciclo delle trasformazioni che in Occidente hanno portato gli insediamenti umani a dare forma urbana, alla forma politica, sociale e culturale delle loro epoche?

La polis greca, l’urbs romana, la cittadella medioevale, la città del Rinascimento dal disegno urbano unitario dove si autorappresentavano le comunità, le città del potere sovrano e quelle del potere borghese del XIX secolo, quelle post liberali e quelle del movimento moderno organizzate secondo la logica dell’efficienza e della razionalità tecnica hanno forse cessato di tramandare la loro storia alla città moderna, se non come rudere archeologico o testimonianza culturale imbalsamata nel passato.

Le città del secondo dopoguerra che crescono sulla base della rendita di posizione o rendita fondiaria creano immense periferie nate da agglomerati abusivi su terreni resi edificabili da varianti urbanistiche e da deroghe ai Piani Regolatori cittadini.

In quegli anni si conoscono i grandi proprietari terrieri che mutano aree agricole in aree intensamente fabbricabili che danno luogo ad  altre rendite fondiarie nei terreni vicini e che a loro volta si intrecciano con la grande rendita edilizia speculativa dei costruttori.

Lo Stato corre ai ripari cercando di tamponare le contraddizioni più evidenti. Nascono i piani di edilizia economica e popolare, i piani casa, i sostegni per le classi sociali più deboli.

Il patto sociale che in Europa nel secondo dopoguerra è riuscito a coniugare libertà economica e stato sociale, capitalismo e socialdemocrazia, ha cominciato a rompersi alla fine degli anni ’70 del secolo scorso per essere sostituito dalla nuova dottrina Thatcher-Reagan del liberismo economico imperniato sulla libertà di iniziativa dell’Impresa nel mercato delle merci e degli uomini e nell’organizzazione del territorio, dove lo Stato si limita a garantire e disciplinare tale libertà con norme giuridiche e le amministrazioni locali a razionalizzarla attraverso Piani urbanistici.

La frenesia del mercato che si autoregola produce la rendita finanziaria che è una forma più evoluta della rendita edilizia.

Nascono così case senza un vero Piano se non quello che dà ai costruttori, in luoghi sempre più periferici, terreni compensativi in cambio della cessione di aree private per costruzione di pubblici servizi.

Così in Italia si sono sviluppate città come Roma e Milano, (prese solo a titolo di esempio tra le grandi città e tralasciando casi drammatici di speculazione edilizia e di malaffare di molte città minori) dove la nuova narrazione è scandita da nomi quali rigenerazione, trasformazione, sostenibilità ambientale, inclusione. Ma sia a Milano che a Roma i Piani Regolatori sono diventati principalmente uno strumento per cercare di guidare le nuove rendite finanziarie di investitori internazionali, norme accomodanti e variabili spesso complici di trasformazioni di un edificio  di tre piani in un grattacielo come a Milano o di inarrestabili cementificazioni al di fuori del Grande Raccordo Anulare come a Roma in nome di vecchi ed incomprensibili diritti edificatori.

Allora in che cosa si stanno trasformando oggi le nostre città? Quale è l’idea di Città che governa queste trasformazioni? Quale è la nuova forma città sulla quale si riflette il potere economico e la comunità? Forse non c’è più nessuna forma, come non c’è più nessun potere immediatamente visibile e identificabile, ma un potere astratto, impersonale, globalizzato.

Così come non c’è più una comunità urbana, una civitas, frammentata e dispersa tra la crisi delle rappresentanze politiche, la cessione di potere delle istituzioni nei confronti dei nuovi poteri economici e finanziari, il tramonto della città pubblica.  

Scrive l’urbanista Enzo Scandurra nel suo libro Città morenti e città viventi:

La città moderna, ovvero l’idea moderna della città, organizzata sui concetti di ordine, regolarità, pulizia, uguaglianza e buon governo, è stata irreversibilmente consegnata alla storia passata trasformandosi in qualcosa di assai diverso che facciamo fatica a rappresentare, descrivere, raccontare.

Urbanisti, architetti, studiosi della città hanno esaltato la grandiosità e la bellezza della “città di pietra” – espressione coniata nella disciplina urbanistica per definire i monumenti  e le architetture prodotti in Europa, soprattutto dal Rinascimento in poi – ricordandoci che essa sopravvive all’incessante alterazione delle forme dell’umanità.

Tuttavia, se confrontata con i mutamenti sconvolgenti che si riassumono sotto il nome i globalizzazione o anche con l’esplosione di umanità che caratterizza le città dell’Oriente e dell’Africa, la città di pietra appare una grandiosa, stupefacente, meravigliosa archeologia in dismissione (….).

La città, o almeno quell’idea di un luogo del vivere insieme, è altro e altrove da quella occidentale che quanto più si specializza tecnologicamente, tanto più mostra la sua estrema fragilità e la sua scarsa adattabilità a sopravvivere.

Essa non ha forse più futuro se non ibridandosi, mutando, accogliendo l’altro e la sua storia diversa.

BIBLIOGRAFIA

AA.VV. 1999 La città dell’Utopia – Libri Scheiwiller

Arnold Hauser 1956 Storia sociale dell’arte – Giulio Einaudi Editore

Benevolo Leonardo 1978 Storia della città – Laterza

Calvino Italo 1993 Le città invisibili – Oscar Mondadori

Scandurra Enzo 2003 Città morenti e città viventi – Meltemi

12 dicembre 2025

Per osservazioni e precisazioni: laboratoriocarteinregola@gmail.com



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