Lunedì 15 Dicembre 2025 09:12
Il Papa: «Da ogni caduta ci si deve poter rialzare»


A San Pietro la Messa a conclusione del Giubileo dei detenuti, ultimo grande evento dell'Anno Santo. «La giustizia è sempre un processo di riparazione e di riconciliazione», le parole di Leone. 6mila i partecipanti, anche da Rebibbia e Casal del Marmo
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L’uomo trascende dai suoi errori. Non c’è abisso dal quale non ci si possa rialzare. Il Signore vuole «che nessuno vada perduto! Che tutti siano salvati!». Pertanto, la giustizia dovrebbe mirare a un cammino di riparazione e di riconciliazione. Per questo è fondamentale impegnarsi per «promuovere in ogni ambiente» specialmente nelle carceri, «una civiltà fondata su nuovi criteri»: quella che Paolo VI definiva «la civiltà dell’amore». È il cuore dell’omelia di Papa Leone XIV che ieri mattina, 14 dicembre, nella basilica di San Pietro ha presieduto la Messa a conclusione del Giubileo dei detenuti, ultimo grande evento dell’Anno Santo che non a caso coincide con la terza domenica di Avvento, detta “Gaudete”: la domenica della gioia.
È lo stesso Prevost a sottolineare che la liturgia odierna «ricorda la dimensione luminosa dell’attesa: la fiducia che qualcosa di bello, di gioioso accadrà». L’evento giubilare, iniziato venerdì 12, è rivolto ai detenuti con i loro famigliari, agli operatori delle carceri, alla polizia e all’amministrazione penitenziaria. Circa 6mila i partecipanti, provenienti da 90 Paesi. Tra loro rappresentanti delle case circondariali di Rebibbia Nuovo Complesso e Rebibbia femminile (dove nella notte tra giovedì e venerdì è morta una donna di 59 anni) e dell’Istituto penale minorile di Casal del Marmo. Migliaia i fedeli che hanno seguito la celebrazione dai maxi-schermi in piazza San Pietro.
Nel 2024 il Giubileo della Speranza si è aperto con un’attenzione particolare al mondo carcerario. Il 26 dicembre Papa Francesco, dopo la Porta Santa della basilica Vaticana, aprì, per la prima volta nella storia, una Porta Santa nella Chiesa del Padre nostro di Rebibbia. Nella bolla di indizione del Giubileo auspicò forme di alleggerimento delle pene affinché i detenuti ritrovassero fiducia in sé stessi e nella società. Un appello al quale si è unito quello di Leone, il quale confida che «in molti Paesi si dia seguito» al desiderio del suo predecessore.
Aprendo la Porta Santa di Rebibbia Francesco esortò anche «a essere, con cuore generoso, operatori di giustizia e di carità negli ambienti in cui viviamo». A meno di un mese dalla chiusura dell’anno giubilare, per Prevost è quindi necessario «riconoscere che, nonostante l’impegno di molti, nel mondo carcerario c’è ancora tanto da fare». Leone ha elencato i tanti problemi che quotidianamente affrontano detenuti e responsabili del mondo carcerario. «Pensiamo al sovraffollamento – ha affermato -, all’impegno ancora insufficiente a garantire programmi educativi stabili di recupero e opportunità di lavoro. E non dimentichiamo, a livello più personale, il peso del passato, le ferite da medicare nel corpo e nel cuore, le delusioni, la pazienza infinita che ci vuole, con sé stessi e con gli altri, quando si intraprendono cammini di conversione, e la tentazione di arrendersi o di non perdonare più».
Quello dietro le sbarre «è un ambiente difficile e anche i migliori propositi vi possono incontrare tanti ostacoli», ha osservato il vescovo di Roma, invitando però a «non stancarsi, scoraggiarsi o tirarsi indietro, ma ad andare avanti con tenacia, coraggio e spirito di collaborazione». Leone ha constatato che ancora oggi tanti non comprendono che «da ogni caduta ci si deve poter rialzare, che nessun essere umano coincide con ciò che ha fatto e che la giustizia è sempre un processo di riparazione e di riconciliazione. Quando però si custodiscono, pur in condizioni difficili, la bellezza dei sentimenti, la sensibilità, l’attenzione ai bisogni degli altri, il rispetto, la capacità di misericordia e di perdono, allora dal terreno duro della sofferenza e del peccato sbocciano fiori meravigliosi e anche tra le mura delle prigioni maturano gesti, progetti e incontri unici nella loro umanità». Un lavoro interiore che non riguarda solo chi è privato della libertà, ha precisato, ma «prima ancora a chi ha il grande onore di rappresentare presso di loro e per loro la giustizia».
Le ostie consacrate dal Papa durante la Messa – concelebranti all’altare il cardinale Michael Czerny e l’arcivescovo Rino Fisichella – sono state preparate nei laboratori eucaristici delle carceri di Opera, San Vittore e Bollate. Sono state donate dalla Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti nell’ambito del progetto “Il senso del Pane”, che dal 2016 coinvolge ogni anno più di 300 detenuti nella preparazione di ostie destinate a oltre 15mila realtà tra diocesi italiane e straniere: congregazioni religiose, parrocchie e monasteri.
15 dicembre 2025
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