Martedì 23 Dicembre 2025 09:12
Giovanni Allevi racconta il nuovo tour, nel segno della speranza


Il compositore pianista riparte da Roma con un ciclo di concerti dedicato al nuovo album "Estasi". Appuntamento il 27 dicembre alla Sala Santa Cecilia dell’Auditorium Parco della Musica
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Giovanni Allevi è di nuovo lì dove lo riconosciamo di più: seduto al pianoforte, con quella capacità rara di far sembrare semplice ciò che, dentro, è complesso. Da dicembre 2025 riprende il tour, e la prima tappa simbolica è Roma: sabato 27 dicembre, ore 21, Sala Santa Cecilia (Auditorium Parco della Musica). Il punto, però, non è solo “un nuovo giro di concerti”. È il senso di questo ritorno. Allevi lo ha detto senza effetti speciali: sarà faticoso, perché il corpo è provato. Ma oggi si avvicina allo strumento con un sentimento diverso, essenziale, quasi definitivo: l’amore per la vita e per la bellezza.
Dal giugno 2022 l’artista combatte con un mieloma multiplo, un tumore del midollo osseo. In questi anni ha parlato spesso del paradosso che lo abita: la fragilità fisica (dolore, tremore, stanchezza) e, insieme, una lucidità interiore che non vuole spegnersi. In una recente intervista televisiva ha riassunto tutto così: il corpo soffre, ma dentro “brilla” qualcosa che non cede. Ecco perché questo tour non suona come una “ripartenza” in senso tecnico. Assomiglia di più a una scelta: tornare in scena senza fingere di essere invincibile. E trasformare il concerto in un incontro vero, quasi confidenziale, tra chi suona e chi ascolta.
Al centro di questa fase c’è “Estasi”, il suo nuovo album per pianoforte solo. Allevi riparte dal significato originario della parola greca èxstasis: “stare fuori”, uscire dalla propria dimensione per guardarsi con prospettiva. È un’idea nata anche dalla pandemia, quando tutti – volenti o nolenti – siamo stati costretti a fare i conti con il limite, l’isolamento, e con quella strana necessità di “immaginare” per respirare. Nella sua narrazione, “Estasi” è legato a un’esperienza quasi surreale a Roma: la folgorazione davanti alla Santa Teresa del Bernini, lo smarrimento, il crollo fisico, una realtà che si spezza e poi si ricompone a fatica. Da lì l’urgenza: raccontare in musica ciò che le parole non tengono.
In questo disco, i brani diventano piccole stanze emotive: l’inquietudine e la speranza che convivono (“Kiss Me Again”), l’ombra malinconica e protettiva (“My Angel”), la discesa nel buio per arrivare alla luce (“Estasi”), fino alla tensione verso un domani più pulito e più giusto (“Our Future”, presentato in un contesto internazionale sul clima). Il pubblico che andrà ad ascoltarlo non cerca solo “i pezzi famosi”. Cerca una cosa più rara: vedere come un artista attraversa la prova, e cosa ne salva. Perché Allevi, oggi, sembra dire questo: non sono tornato per dimostrare che sto bene; sono tornato per celebrare ciò che vale, anche quando non stai bene. Ed è proprio da qui che iniziamo la nostra chiacchierata con lui.
Innanzitutto, come stai? Che periodo è per te?
Al dolore alla schiena e al tremore alle dita si sta aggiungendo sempre più spesso una sensazione di brividi in tutto il corpo. Faccio il possibile da un punto di vista medico e fisioterapico ma cerco anche di dare un significato simbolico e filosofico a questi disturbi. La schiena mi dice che sono ancora troppe le responsabilità che voglio accollarmi, il tremore nasce sempre da forze interiori contrapposte in conflitto che devo ancora risolvere, i brividi sono ebbrezza, gioia disperata di vivere.
Al dolore alla schiena e al tremore alle dita si sta aggiungendo sempre più spesso una sensazione di brividi in tutto il corpo. Faccio il possibile da un punto di vista medico e fisioterapico ma cerco anche di dare un significato simbolico e filosofico a questi disturbi. La schiena mi dice che sono ancora troppe le responsabilità che voglio accollarmi, il tremore nasce sempre da forze interiori contrapposte in conflitto che devo ancora risolvere, i brividi sono ebbrezza, gioia disperata di vivere.
“Estasi” nasce dall’idea di “uscire da sé”. Quando ti siedi al pianoforte oggi, cosa significa concretamente “uscire” e cosa vuoi ritrovare quando “rientri”?
A Buenos Aires, durante la prima data del tour di pianoforte solo, era da tanto che non mi trovavo in teatro davanti al pubblico. Venivo da un periodo di terapie oltre che da un lungo viaggio. È stato diverso! Dopo il terrore iniziale di non sentirmi all’altezza, ho cominciato a percepire un senso di familiarità, come se essere passato attraverso il nucleo più profondo della fragilità umana mi avesse messo in connessione con ognuna delle anime in ascolto. Ora, questo significa uscire fuori di me: sentire l’altro come fratello ed abbracciarlo con le note.
A Buenos Aires, durante la prima data del tour di pianoforte solo, era da tanto che non mi trovavo in teatro davanti al pubblico. Venivo da un periodo di terapie oltre che da un lungo viaggio. È stato diverso! Dopo il terrore iniziale di non sentirmi all’altezza, ho cominciato a percepire un senso di familiarità, come se essere passato attraverso il nucleo più profondo della fragilità umana mi avesse messo in connessione con ognuna delle anime in ascolto. Ora, questo significa uscire fuori di me: sentire l’altro come fratello ed abbracciarlo con le note.
In alcuni brani racconti il passaggio nel buio prima della luce. Come si traduce questo nella scrittura musicale: armonie, silenzi, dissonanze… Cosa ti guida davvero mentre componi?
È vero! Il percorso interiore dal buio alla luce si traduce sul pentagramma in strutture musicali ben precise. Innanzitutto, ho bisogno di spazio. Le forme classiche complesse, come la sinfonia o il concerto per pianoforte e orchestra, mi permettono di elaborare un racconto in cui davvero mi specchio, mi riconosco, mi lascio andare. A guidarmi è una gioia profonda, una luce che, a partire dal buio, si fa sempre più intensa.
È vero! Il percorso interiore dal buio alla luce si traduce sul pentagramma in strutture musicali ben precise. Innanzitutto, ho bisogno di spazio. Le forme classiche complesse, come la sinfonia o il concerto per pianoforte e orchestra, mi permettono di elaborare un racconto in cui davvero mi specchio, mi riconosco, mi lascio andare. A guidarmi è una gioia profonda, una luce che, a partire dal buio, si fa sempre più intensa.
Dopo la diagnosi, hai detto che il corpo è sofferente ma dentro c’è una luce che non si spegne. Che rapporto hai con la fragilità oggi? Ti fa paura, ti educa, ti cambia il modo di stare sul palco?
Quando ero davanti al pianoforte in quel primo concerto in Argentina e vedevo le mie dita tremare sui tasti, ho benedetto la mia fragilità. Ho pensato che in questa nuova condizione posso finalmente raccontare l’essere umano, le sue paure, i suoi slanci, la sua voglia di infinito, le sue meditazioni silenziose. Il dolore si sta rivelando il mio grande maestro.
Quando ero davanti al pianoforte in quel primo concerto in Argentina e vedevo le mie dita tremare sui tasti, ho benedetto la mia fragilità. Ho pensato che in questa nuova condizione posso finalmente raccontare l’essere umano, le sue paure, i suoi slanci, la sua voglia di infinito, le sue meditazioni silenziose. Il dolore si sta rivelando il mio grande maestro.
Il tuo tour riparte da Roma nei giorni in cui si conclude il Giubileo della Speranza. Che cos’è per te la speranza e cosa ti dà più speranza?
«Cosa mi è lecito sperare?», si chiede Kant. È vero che molti filosofi contemporanei relegano la speranza a un sentimento ingenuo e infantile, ma in nome di cosa, di un realismo disincantato? Cosa sappiamo di noi stessi e del mondo? Nulla. Su quel letto di ospedale invece, ho capito che una parola di speranza e un sorriso sono potenti come farmaci. Dunque, rispondo. Cosa spero? Di vivere più intensamente possibile il presente, di non perdere una sola goccia di vita, di riuscire a sentire come un miracolo ogni secondo che mi viene dato.
«Cosa mi è lecito sperare?», si chiede Kant. È vero che molti filosofi contemporanei relegano la speranza a un sentimento ingenuo e infantile, ma in nome di cosa, di un realismo disincantato? Cosa sappiamo di noi stessi e del mondo? Nulla. Su quel letto di ospedale invece, ho capito che una parola di speranza e un sorriso sono potenti come farmaci. Dunque, rispondo. Cosa spero? Di vivere più intensamente possibile il presente, di non perdere una sola goccia di vita, di riuscire a sentire come un miracolo ogni secondo che mi viene dato.
23 dicembre 2025
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