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Martedì 23 Dicembre 2025 12:12

Il Papa: «La crisi di fiducia nella Chiesa suscitata dagli abusi ci riempie di vergogna»



La lettera apostolica “Una fedeltà che genera futuro”, nel LX anniversario dei decreti conciliari Optatam totius e Presbyterorum ordinis. «Guardare con compassione a chi abbandona»

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«In questi ultimi decenni, la crisi della fiducia nella Chiesa suscitata dagli abusi commessi da membri del clero, che ci riempiono di vergogna e ci richiamano all’umiltà, ci ha reso ancora più consapevoli dell’urgenza di una formazione integrale che assicuri la crescita e la maturità umana dei candidati al presbiterato, insieme con una ricca e solida vita spirituale». Lo scrive il Papa, nella lettera apostolica “Una fedeltà che genera futuro”, in occasione del LX anniversario dei decreti conciliari Optatam totius e Presbyterorum ordinis.

Per Leone, «il tema della formazione risulta essere centrale anche per far fronte al fenomeno di coloro che, dopo qualche anno o anche dopo decenni, abbandonano il ministero. Questa dolorosa realtà – prosegue – non è da interpretare solo in chiave giuridica, ma chiede di guardare con attenzione e compassione alla storia di questi fratelli e alle molteplici ragioni che hanno potuto condurli a una tale decisione. E la risposta da dare è anzitutto un rinnovato impegno formativo».

Il seminario, in particolare, «in qualunque modalità sia pensato, dovrebbe essere una scuola degli affetti. Di qui l’invito ai seminaristi a «un lavoro interiore sulle motivazioni che coinvolga tutti gli aspetti della vita», perché «solo presbiteri e consacrati umanamente maturi e spiritualmente solidi, cioè persone in cui la dimensione umana e quella spirituale sono ben integrate e che perciò sono capaci di relazioni autentiche con tutti, possono assumere l’impegno del celibato e annunciare in modo credibile il Vangelo del Risorto».

Nessuno spazio, insomma, a «narcisismo ed egocentrismo», perché «comunione, sinodalità e missione non si possono realizzare se, nel cuore dei sacerdoti, la tentazione dell’autoreferenzialità non cede il passo alla logica dell’ascolto e del servizio». Tutti i presbiteri «sono chiamati a curare sempre la propria formazione, per mantenere vivo il dono di Dio ricevuto con il sacramento dell’Ordine». Centrale, nell’analisi del Papa, la «fraternità presbiterale», un «dono insito nella grazia dell’ordinazione che ci rende partecipi del ministero del vescovo e si attua nella comunione con lui e con i confratelli. Essere fedeli alla comunione  – prosegue – significa in primo luogo superare la tentazione dell’individualismo che mal si coniuga con l’azione missionaria ed evangelizzatrice che riguarda sempre la Chiesa nel suo insieme». Il pontefice lo ribadisce con forza: «Nessun pastore esiste da solo» e «non può esistere un ministero slegato dalla comunione con Gesù Cristo e con il suo corpo, che e la Chiesa». La fraternità sacerdotale, quindi, «va considerata come elemento costitutivo dell’identità dei ministri, non solo come un ideale o uno slogan, ma come un aspetto su cui impegnarsi con rinnovato vigore».

All’attenzione di Leone anche la situazione di diverse nazioni e diocesi, in cui ancora non è assicurata «la necessaria previdenza per le malattie e l’anzianità». «La cura reciproca, in particolare l’attenzione verso i confratelli più soli e isolati, nonché quelli infermi e anziani, non può essere considerata meno importante di quella nei confronti del popolo che ci e affidato – scrive -. È questa una delle istanze fondamentali che ho raccomandato ai sacerdoti in occasione del loro recente Giubileo».

In molti contesti – «soprattutto quelli occidentali» – si aprono per la vita dei presbiteri «nuove sfide, legate all’odierna mobilita e alla frammentazione del tessuto sociale. Ciò fa si che i sacerdoti non siano più inseriti in un contesto coeso e credente che ne sosteneva il ministero in tempi passati. Di conseguenza – è l’analisi del pontefice -, essi sono più esposti alle derive della solitudine che spegne lo slancio apostolico e può causare un triste ripiegamento su se stessi». L’auspicio è allora che «in tutte le Chiese locali possa nascere un rinnovato impegno a investire e promuovere forme possibili di vita comune, cosi che i presbiteri possano reciprocamente aiutarsi a fomentare la vita spirituale e intellettuale, collaborare più efficacemente nel ministero, ed eventualmente evitare i pericoli della solitudine», nella prospettiva di una Chiesa sinodale.

Ancora, «in un tempo di grandi fragilità, tutti i ministri ordinati sono chiamati a vivere la comunione tornando all’essenziale e facendosi prossimi alle persone, per custodire la speranza che prende volto nel servizio umile e concreto», l’altra indicazione, insieme a quella di «valorizzare il diaconato permanente». Tre, in particolare, le coordinate dell’identità sacerdotale raccomandate: «Il rapporto con il vescovo, la fraternità con gli altri presbiteri, il rapporto con i fedeli laici. Anziché primeggiare o concentrare tutti i compiti in se stessi – rileva ancora Prevost – i preti devono scoprire con senso di fede i carismi, sia umili che eccelsi, che sotto molteplici forme sono concessi ai laici». E in questo campo «c’è ancora tanto da fare”». No, allora, al sacerdozio come «leadership esclusiva, che determina l’accentramento della vita pastorale e il carico di tutte le responsabilità affidate a lui solo, tendendo verso una conduzione sempre più collegiale, nella cooperazione tra i presbiteri, i diaconi e tutto il Popolo di Dio, in quel vicendevole arricchimento che è frutto della varietà dei carismi suscitati dallo Spirito Santo».

In concreto, il Papa esorta i preti a guardarsi da due tentazioni opposte «nel nostro mondo contemporaneo», vale a dire «mentalità efficientista e quietismo». Mette in guardia inoltre da «ogni personalismo e ogni celebrazione di se stessi, nonostante l’esposizione pubblica cui talvolta il ruolo può obbligare». In questo contesto, «l’esposizione mediatica, l’uso dei social network e di tutti gli strumenti oggi disponibili va sempre valutato sapientemente, assumendo come paradigma del discernimento quello del servizio all’evangelizzazione. In ogni situazione – aggiunge -, i presbiteri sono chiamati a dare una risposta efficace, tramite la testimonianza di una vita sobria e casta, alla grande fame di relazioni autentiche e sincere che si riscontra nella società contemporanea», l’altra indicazione di rotta per una «rinnovata Pentecoste vocazionale nella Chiesa», perché «non c’è futuro senza la cura di tutte le vocazioni».

23 dicembre 2025

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