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Lunedì 29 Dicembre 2025 17:12

Linea D: cambia il tracciato, e poi?

Secondo quanto emerso dalla stampa, il 23 dicembre scorso gli Assessorati ai Trasporti e all’Urbanistica avrebbero raggiunto un accordo sul nuovo tracciato della Linea D, con modifiche sostanziali rispetto al PUMS vigente e al Piano Regolatore Generale.  L’accordo arriva a valle di un documento di fattibilità delle alternative redatto da Roma Metropolitane, che ha messo su carta tutti i possibili tracciati della futura quarta linea di Roma. Secondo quanto trapelato, il tracciato dovrebbe avere 25 stazioni, tra Ojetti e Roma 70, con due depositi di testa. I cambiamenti si concentrano soprattutto nella completa rivisitazione del Prolungamento Sud, ma anche nella tratta Fondamentale, con lo spostamento a Barberini dell’interscambio con la Linea A, quindi con la conseguente eliminazione della stazione San Silvestro. Ricordiamo che la Linea D è storicamente divisa in tre tratte: il prolungamento Nord, da Ojetti a Nemorense, il tracciato Fondamentale, da Nemorense a Fermi, e prolungamento Sud, da Fermi all’EUR.   L’obiettivo del nuovo tracciato è servire il quadrante Sud Ovest della città, storicamente poco servito dal trasporto pubblico. Il nuovo tracciato risulta quindi particolarmente eccentrico, con curve e controcurve ripetute, che distribuiscono la linea nei municipi XI e XII. A nostro parere, maggiore attenzione deve essere dedicata ai nodi di scambio: non scambiare con la FL1 a Villa Bonelli (Montalcini) sarebbe veramente manchevole. Il nodo di Barberini invece, sebbene costituisca per molti una novità, è in realtà la riproposizione di un’alternativa già presente nei progetti del 2005, allora con soluzioni costruttive decisamente ardite. In realtà, la stazione della Linea D si collocherebbe sotto via Veneto, con un lungo cunicolo di collegamento fino a Barberini Linea A.   Tuttavia, l’entusiasmo per il “disegno” della linea deve ora fare i conti con una lunga serie di azioni preliminari che devono essere svolte prima di arrivare a qualsiasi cantiere. E POI? LE INDAGINI PREVENTIVE L’esperienza della Linea C ha insegnato che l’imprevisto archeologico non può essere gestito “in corso d’opera”. Anzi, tutto sommato non può proprio essere considerato un “imprevisto”. L’archeologia c’è e va gestita, magari costruendoci attorno una meravigliosa stazione museo. Come stabilito a suo tempo dall’ANAC, con la storica delibera che autorizzò la variante museale per la stazione di Porta Metronia, non è ammissibile procedere con i lavori senza una conoscenza millimetrica del sottosuolo. La prima fase operativa della Linea D dovrà quindi essere una massiccia campagna di indagini archeologiche e geologiche preventive. Non si tratta di semplice burocrazia, ma di una strategia di derisking fondamentale per la tenuta del progetto, sotto due aspetti: Certezza dei costi: sapere cosa c’è sotto i piedi permette di progettare stazioni con tecnologie costruttive adatte al contesto archeologico. Ad esempio, un’adeguata archeologia preventiva potrebbe permettere di realizzare almeno alcune stazioni con la tecnica del jet grouting, così da risparmiare centinaia di milioni di paratie profonde. Viceversa, si potrebbero identificare da subito quelle stazioni dove è inutile individuare soluzioni costruttive più economiche, che sarebbero però irrealizzabili per le conseguenze sullo strato archeologico, avendo quindi da subito chiari i costi effettivi. Certezza dei tempi: Una volta ottenuti i “nulla osta” preventivi dalle Soprintendenze basati su dati reali, i cantieri potranno procedere con un cronoprogramma finalmente affidabile, con volumi di scavo “a mano” in modalità archeologica già noti dall’inizio dei lavori. Porta Metronia, con la giurisprudenza che ne è scaturita, ha segnato uno spartiacque: l’archeologia non può più essere un ostacolo che emerge a sorpresa, ma un dato di progetto integrato fin dal primo giorno. Le indagini preventive, a nostro parere, devono essere finanziate immediatamente dal Comune. Richiedere finanziamenti allo Stato senza svolgere preventivamente queste attività renderebbe le eventuali istanze poco credibili. Si tratta però, per 25 stazioni, di decine di milioni di euro attività e almeno due anni di esecuzione, che salgono a tre se includiamo gare e burocrazia varia. Una volta terminate le indagini sarà possibile redigere un Progetto di Fattibilità Tecnico-Economica solido e finanziabile. I TRENI E LE TECNOLOGIE Ma non dimentichiamoci che oltre a stazioni e gallerie, una metro è fatta anche di treni. Quando si parla di una nuova metropolitana a Roma, l’istinto porta a pensare ai grandi convogli da oltre 108 metri della Linea A o della B. Tuttavia, la morfologia della Linea D, che deve “insinuarsi” nel tessuto del centro storico e tra i palazzi di zone densamente edificate come il Salario o i Colli Portuensi, impone un cambio di paradigma: passare dalla filosofia della “capacità del convoglio” a quella della “capacità del sistema”. La Linea D, in tutte le simulazioni, è una linea che non fa più di 15 mila persone l’ora per direzione. Sono tante, ma non così tante per una metropolitana romana. Non a caso già nei progetti del 2005 la Linea D era prevista con treni più corti o eventualmente anche più “stretti” delle altre linee romane. L’idea era comunque di mantenersi su treni da 800 posti, lunghi circa 80 metri. A nostro parere, flussi da 15 mila persone in punta possono essere gestiti tranquillamente con treni da 500 posti ogni due minuti, con possibilità di salire a 90 secondi in condizioni limite. Si tratterebbe quindi di mettere sui binari convogli non più lunghi di 50 metri. Adottare treni di questa lunghezza sarebbe un notevole risparmio, in sede di costruzione, e una scelta di buon senso, ormai consolidata anche in altre città che si trovano a realizzare linee su direttrici di domanda intermedia. Realizzare una metropolitana con treni da 50 metri (circa la metà di un treno tradizionale) non significherebbe declassare l’opera, ma la renderebbe tecnicamente ed economicamente sostenibile.

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Secondo quanto emerso dalla stampa, il 23 dicembre scorso gli Assessorati ai Trasporti e all’Urbanistica avrebbero raggiunto un accordo sul nuovo tracciato della Linea D, con modifiche sostanziali rispetto al PUMS vigente e al Piano Regolatore Generale. 

L’accordo arriva a valle di un documento di fattibilità delle alternative redatto da Roma Metropolitane, che ha messo su carta tutti i possibili tracciati della futura quarta linea di Roma. Secondo quanto trapelato, il tracciato dovrebbe avere 25 stazioni, tra Ojetti e Roma 70, con due depositi di testa.

I cambiamenti si concentrano soprattutto nella completa rivisitazione del Prolungamento Sud, ma anche nella tratta Fondamentale, con lo spostamento a Barberini dell’interscambio con la Linea A, quindi con la conseguente eliminazione della stazione San Silvestro.

Ricordiamo che la Linea D è storicamente divisa in tre tratte: il prolungamento Nord, da Ojetti a Nemorense, il tracciato Fondamentale, da Nemorense a Fermi, e prolungamento Sud, da Fermi all’EUR.



 

L’obiettivo del nuovo tracciato è servire il quadrante Sud Ovest della città, storicamente poco servito dal trasporto pubblico. Il nuovo tracciato risulta quindi particolarmente eccentrico, con curve e controcurve ripetute, che distribuiscono la linea nei municipi XI e XII. A nostro parere, maggiore attenzione deve essere dedicata ai nodi di scambio: non scambiare con la FL1 a Villa Bonelli (Montalcini) sarebbe veramente manchevole.

Il nodo di Barberini invece, sebbene costituisca per molti una novità, è in realtà la riproposizione di un’alternativa già presente nei progetti del 2005, allora con soluzioni costruttive decisamente ardite. In realtà, la stazione della Linea D si collocherebbe sotto via Veneto, con un lungo cunicolo di collegamento fino a Barberini Linea A.

 


Interscambio tra A e D a Barberini (Studio di Fattibilità del 2005)

Tuttavia, l’entusiasmo per il “disegno” della linea deve ora fare i conti con una lunga serie di azioni preliminari che devono essere svolte prima di arrivare a qualsiasi cantiere.

L’esperienza della Linea C ha insegnato che l’imprevisto archeologico non può essere gestito “in corso d’opera”. Anzi, tutto sommato non può proprio essere considerato un “imprevisto”. L’archeologia c’è e va gestita, magari costruendoci attorno una meravigliosa stazione museo.

Come stabilito a suo tempo dall’ANAC, con la storica delibera che autorizzò la variante museale per la stazione di Porta Metronia, non è ammissibile procedere con i lavori senza una conoscenza millimetrica del sottosuolo. La prima fase operativa della Linea D dovrà quindi essere una massiccia campagna di indagini archeologiche e geologiche preventive.

Non si tratta di semplice burocrazia, ma di una strategia di derisking fondamentale per la tenuta del progetto, sotto due aspetti:

  • Certezza dei costi: sapere cosa c’è sotto i piedi permette di progettare stazioni con tecnologie costruttive adatte al contesto archeologico. Ad esempio, un’adeguata archeologia preventiva potrebbe permettere di realizzare almeno alcune stazioni con la tecnica del jet grouting, così da risparmiare centinaia di milioni di paratie profonde. Viceversa, si potrebbero identificare da subito quelle stazioni dove è inutile individuare soluzioni costruttive più economiche, che sarebbero però irrealizzabili per le conseguenze sullo strato archeologico, avendo quindi da subito chiari i costi effettivi.

  • Certezza dei tempi: Una volta ottenuti i “nulla osta” preventivi dalle Soprintendenze basati su dati reali, i cantieri potranno procedere con un cronoprogramma finalmente affidabile, con volumi di scavo “a mano” in modalità archeologica già noti dall’inizio dei lavori.

Porta Metronia, con la giurisprudenza che ne è scaturita, ha segnato uno spartiacque: l’archeologia non può più essere un ostacolo che emerge a sorpresa, ma un dato di progetto integrato fin dal primo giorno.

Le indagini preventive, a nostro parere, devono essere finanziate immediatamente dal Comune. Richiedere finanziamenti allo Stato senza svolgere preventivamente queste attività renderebbe le eventuali istanze poco credibili. Si tratta però, per 25 stazioni, di decine di milioni di euro attività e almeno due anni di esecuzione, che salgono a tre se includiamo gare e burocrazia varia.

Una volta terminate le indagini sarà possibile redigere un Progetto di Fattibilità Tecnico-Economica solido e finanziabile.

Ma non dimentichiamoci che oltre a stazioni e gallerie, una metro è fatta anche di treni.

Quando si parla di una nuova metropolitana a Roma, l’istinto porta a pensare ai grandi convogli da oltre 108 metri della Linea A o della B. Tuttavia, la morfologia della Linea D, che deve “insinuarsi” nel tessuto del centro storico e tra i palazzi di zone densamente edificate come il Salario o i Colli Portuensi, impone un cambio di paradigma: passare dalla filosofia della “capacità del convoglio” a quella della “capacità del sistema”.

La Linea D, in tutte le simulazioni, è una linea che non fa più di 15 mila persone l’ora per direzione. Sono tante, ma non così tante per una metropolitana romana. Non a caso già nei progetti del 2005 la Linea D era prevista con treni più corti o eventualmente anche più “stretti” delle altre linee romane. L’idea era comunque di mantenersi su treni da 800 posti, lunghi circa 80 metri.

A nostro parere, flussi da 15 mila persone in punta possono essere gestiti tranquillamente con treni da 500 posti ogni due minuti, con possibilità di salire a 90 secondi in condizioni limite. Si tratterebbe quindi di mettere sui binari convogli non più lunghi di 50 metri. Adottare treni di questa lunghezza sarebbe un notevole risparmio, in sede di costruzione, e una scelta di buon senso, ormai consolidata anche in altre città che si trovano a realizzare linee su direttrici di domanda intermedia.

Realizzare una metropolitana con treni da 50 metri (circa la metà di un treno tradizionale) non significherebbe declassare l’opera, ma la renderebbe tecnicamente ed economicamente sostenibile.

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