Venerdì 16 Ottobre 2020 12:10
Educare alla resilienza


Il compito dei genitori: aiutare i figli a osservare e ascoltare la vita con un esame di realtà per scoprire il proprio posto e il proprio modo di reagire davanti alla criticità
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Resilienti si nasce? E cosa significa essere resilienti? Sono tanti i significati di questo termine e tutti concorrono a darci una visione di come questa capacità, molto importante, possa essere una risorsa fondamentale per una crescita serena ed equilibrata. La resilienza è la capacità di un materiale di resistere agli urti, di assorbire un colpo senza frantumarsi. Sul piano umano, utilizzando un modo di parlare colloquiale, è la capacità di “rimanere in piedi” anche davanti a incidenti di percorso. È qui che s’inserisce la nostra riflessione e la possibilità di rispondere alla domanda di apertura. Ci si costruisce resilienti, lo si apprende, lo si sperimenta e, in chiave educativa, si è accompagnati a diventarlo. Il compito pedagogico dei genitori è aiutare i figli a osservare e ascoltare la vita intorno a loro con un esame di realtà per scoprire il proprio posto e il proprio modo di reagire davanti alla criticità.
È proprio la parola “crisi” che ci accompagna a sintonizzarci sul compito educativo. Ha una duplice valenza: può rappresentare un evento traumatico che interrompe il percorso o una possibilità di rivedere posizioni, di individuare passi di cambiamento, di costruire legami e relazioni positive in grado di supportarci. La crisi diventa la via per sperimentarsi, per reagire davanti alle criticità e riprogrammare i propri punti di vista. La resilienza diviene percorso, insegnamento, accompagnamento a scoprire dentro di sé tutte quelle risorse che la crisi stessa mette in luce, quei tesori e quelle ricchezze di cui si è dotati, quei doni che permettono di non dichiarare la resa ma di reagire positivamente davanti alla precarietà.
Il primo insegnamento che i genitori possono trasmettere ai figli è di saper navigare nella tempesta, di non aver timore di affrontare il mare aperto anche se burrascoso, di aver fiducia nelle proprie capacità che, anche se momentaneamente bloccate dall’imprevisto, possono essere fonte di cambiamento. Il bambino deve poter credere che in se stesso risiedono tutte le risorse per far fronte a situazioni di difficoltà, chiaramente commisurate alla sua età e al grado di sviluppo evolutivo, deve poter sperimentare la fiducia del genitore che non interviene a risolvere problemi ma fornisce strumenti per poterli affrontare. La parola chiave è: mai sostituirsi al figlio pensando di rendergli il cammino piano e senza ostacoli ma aiutarlo a costruire passi di autonomia in cui sperimentarsi capace di far fronte alle criticità, certi che le spalle sicure rendono le persone equilibrate e positive nei confronti delle avversità.
Resilienza è rimanere in piedi, abbiamo rilevato. Questo ci rimanda ai primi incerti passi del bambino quando il genitore, vigile e presente, lascia la sua mano e lo incoraggia a esplorare. L’apprensione non manca ma se ci fosse sempre l’intervento risolutore, che spesso ha lo scopo di tranquillizzare il genitore stesso, il bimbo interromperebbe la sua avventura da piccolo esploratore, guarderebbe agli ostacoli come insormontabili e non metterebbe in atto la potenzialità di pensare e trovare una soluzione. Il genitore, che ha imparato a diventare resiliente nel corso della sua vita, diventa maestro di resilienza nel momento in cui, con fiducia, consegna il figlio alle sue piccole imprese aiutandolo a far conto sulle proprie risorse, abbandonando l’eccessiva protezione. Chiaramente rimarrà punto di riferimento fondamentale soprattutto davanti ai tanti interrogativi che il figlio si troverà a fronteggiare non fornendo risposte preconfezionate ma costruendole insieme, calibrando a mano a mano il passo e aggiustando il tiro. Occorre aiutare i figli a esprimere la loro fragilità, a narrare le difficoltà, a condividere le piccole vulnerabilità per credere di poter rimuovere l’ostacolo o, cosa ancora più importante, per attribuirgli un nuovo significato.
Si tratta di ripensare il compito educativo, di non abbandonarsi ai quei “sì” che risolvono l’immediato ma non trasmettono la capacità. Il no, giustificato, spiegato e mai abusato, rende resiliente, spinge il figlio a valutare altre strade, ad affrontare l’ostacolo scoprendo di poterlo fare generando un “Io” diverso che non si lascia sopraffare dagli eventi ma li vive come sfide positive di crescita. Il genitore resiliente, che si mostra umano nelle sue debolezze ma ricco di forze per fronteggiarle, diventa esempio e modello a cui ispirarsi quando il blocco sbarra il cammino e la preoccupazione sale. E sempre pensando al bambino che impara a camminare ci viene incontro l’immagine della caduta e di quello sguardo che cerca il genitore: saperlo al suo fianco, potendolo vedere e percepire come fiducioso, mette in moto la sicurezza di potersi rialzare e riprendere il cammino.
Costruire la resilienza con i propri figli è dare senso alle piccole e grandi criticità che si possono verificare, è entrare in dialogo, guardare il problema da più punti di vista, incentrandosi sulle possibilità piuttosto che sulle mancanze, è sperare insieme di potercela fare a mettere in campo forze diverse. La resilienza, quindi, si costruisce all’interno di una relazione, di uno sguardo che ti segue, di una carezza che ti sfiora il viso e una mano che ti sospinge in avanti. È percorso educativo nel vero senso della parola: e-ducere, tirare fuori, far emergere, permettere di creare il proprio percorso, di far germogliare la risorsa perché i figli non sono vasi da riempire ma campi fertili da aiutare a fruttificare ognuno nelle proprie capacità e unicità.
Genitori e figli possono quindi sperimentare il dono di cambiare lo sguardo sulle cose, di non nutrire aspettative troppo alte rimanendo delusi e frustrati ma calibrando il passo rispetto alla situazione. La sofferenza non è negata ma diventa possibilità evolutiva di aprirsi all’ulteriore, al passo nuovo da compiere. Elaborare insieme la difficoltà e il progetto di cambiamento è educare alla precarietà della vita che, se da una parte produce insicurezza, dall’altra apre alla speranza di nuovi orizzonti da esplorare anche davanti a traumi dolorosi e pesanti. Naturalmente in questo caso occorrerà un accompagnamento specifico all’elaborazione della perdita e dei piccoli o grandi lutti che anche i bambini e i ragazzi possono sperimentare, ma sempre con lo sguardo rivolto alla rinascita.
In questo percorso di educazione alla resilienza sono molto utili i gruppi di condivisione tra genitori, i percorsi di ascolto sia come coppia genitoriale sia come famiglia con l’ausilio dei consultori familiari come luoghi di costruzione di senso. Perché resilienti non si nasce ma si può diventare liberando quella fiducia e creatività che trasformano la crisi in opportunità e la ferita in feritoia. Un passaggio dal buio alla luce. (Alessandra Bialetti, pedagogista e consulente della coppia e della famiglia)
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