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Mercoledì 11 Novembre 2020 06:11

Geco, il megalomane imitato da tanti idioti. La denuncia non basta

Ha imbrattato centinaia di muri e edifici. Non era solo e i "suoi" sono ancora a spasso. Roma resta la terra felice dei writers

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La personalità disturbata di Geco, al secolo Lorenzo Perris, 30 anni, risultava da un’intervista rilasciata a un giornale portoghese nel 2018. “Voglio diffondere il mio nome più che avere un’estetica. Il primo obiettivo dell’attentatore è la quantità, quando dipingi inizi a vedere ogni muro come una sfida”.

Le parole in grassetto mettono in risalto la megalomania di questa povera anima priva di pensiero originale. In quell’intervista, in forma anonima, Perris parla di se stesso come di un “attentatore” e usa il verbo “dipingere” per classificare le sue oscene tags. Insomma un pazzo, esaltato che ha potuto operare per anni, sfregiando e deturpando ogni superficie, senza rispetto alcuno.

E’ stato scoperto dal Nad, il Nucleo Ambiente e Decoro della Polizia di Roma Capitale, e denunciato per danneggiamento e reato continuato. Quando gli agenti sono entrati nella sua casa del Prenestino, in piena notte, ha dato di matto. In un filmato che diarioromano ha potuto visionare in esclusiva, si vede Perris che prende il suo telefono (evidentemente carico di dati e informazioni) e lo scaglia per terra nel tentativo di romperlo e impedire alla Polizia di scoprire altre notizie.

Mesi di pedinamenti e indagini hanno permesso di coglierlo sul fatto senza che se ne accorgesse. Sicuro di sé, sfrontato al punto da vergare le lettere del suo “nome d’arte” su palazzi storici, tetti, monumenti e mercati, alla fine ha commesso un errore che ha permesso di scoprirlo.

Non si è fermato neanche di fronte alle Mura Aureliane che per secoli sono state preservate dal vandalismo, oppure alla Torre di Santa Bibiana o al mercato di via Magna Grecia.





 

Ad un certo punto le scritte sui muri non gli bastavano più e ha cominciato a produrre adesivi affissi in maniera virale sui pali dei semafori e dell’illuminazione, sulle serrande e sui portoni. In casa ne sono stati trovati 13 mila pronti per essere attaccati ovunque. A Lisbona, la sua seconda città dove aveva scelto di praticare il vandalismo, il Comune gli ha chiesto 500 mila euro di danni. 

Sebbene gli agenti del Nad abbiano fatto un ottimo lavoro e a loro vanno i complimenti delle centinaia di migliaia di romani che hanno visto sfregiare un pezzo di città, c’è da dire che la denuncia di Geco non è che il successo di una battaglia in una guerra tutt’altro che vinta. Geco stesso ha molti ammiratori e seguaci che ora si scateneranno per portare avanti il suo nome sui muri (pazzi scocciati che mettono a rischio la propria fedina penale per far contento qualcun altro) e poi come lui ce ne sono tanti.

Costituiscono le cosiddette “crew”, un fenomeno nato negli Stati Uniti degli anni ’70 e terminato da tempo in quel paese, mentre resta vivace solo a Roma, luogo di degrado senza confini. Da noi il  graffitismo ha prima preso piede seguendo una matrice politica (scritte di destra o sinistra campeggiavano fino agli anni 80), poi è passato alla parte sportiva con messaggi legati alle squadre di calcio e infine si è arrivati all’imbrattamento duro e puro, senza criterio. Di questo, Geco rappresenta l’apice di un sistema che è ormai molto radicato a causa del lassismo di tutte le amministrazioni comunali che si sono succedute.

E così i treni della metropolitana, le serrande, le spazzatrici, i segnali stradali, i cestini sono tutti diventati lavagna per imbecilli.







 

La soluzione non è facile ma esistono pratiche adottate in altri paesi con successo. Città come New York hanno sconfitto i taggaroli che ormai lì sono una rarità. E’ stato fatto con una campagna di sensibilizzazione, un database che associa le tags ai vandali grafici, con la creazione di squadre comunali pronte a cancellare le scritte nelle prime 48 ore.

Perché se gliele cancelli, il vandalo perderà il gusto di realizzarle. Non vale la pena di correre il rischio se dopo poche ore la tags viene coperta. E la stessa cosa dovrebbe essere fatta dai privati cittadini sulle facciate dei condomini, dai commercianti sulle saracinesche dei propri negozi.

Atac non si è mai impegnata per mettere in sicurezza il deposito dei treni di Osteria del Curato dove chiunque può penetrare di notte e gettare vernice spray sui vagoni. Eppure secondo alcuni calcoli
l’azienda perde 16 milioni l’anno
a causa delle scritte vandaliche.  L’Associazione Nazionale Antigraffiti, calcolò che solo il Comune di Milano spende 12 milioni l’anno per coprire le scritte e che se si volesse ripulire l’intera nazione il costo sarebbe di 790 milioni. Trenitalia, solo nel Lazio, spende circa 4 milioni di euro l’anno per consentire ai propri treni di circolare senza essere coperti di tags. E il problema non è solo il costo economico della ripulitura, ma c’è anche quello sociale: si trasmette il messaggio che tutto è consentito, che tutto è lecito. Che la città è terra di nessuno.

Geco ne era convinto e in parte aveva ragione se è riuscito ad operare per anni indisturbato. Ora occorre agire su tutti i fronti per riportare l’arte urbana alla dignità che le spetta, ai bellissimi murales realizzati da veri artisti che colorano e rallegrano i quartieri.

Mentre delle firmette degli idioti possiamo davvero fare a meno.

 

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