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Lunedì 25 Gennaio 2021 11:01

Lia Tagliacozzo: «La Shoah non è finita»



La scrittrice romana, ebrea, figlia di due sopravvissuti, racconta il valore della memoria. La storia della sua famiglia nel libro "La generazione del deserto"

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La storia che si fa vera “magistra vitae” attraverso il racconto di storie familiari e individuali, con il passato che interroga il presente. In questo modo Lia Tagliacozzo, scrittrice romana ebrea e figlia di due sopravvissuti alla Shoah, ha scelto di raccontare la storia della propria famiglia nel suo ultimo libro “La generazione del deserto”, pubblicato dalla casa editrice Manni. «Per molto tempo nella mia famiglia non si è parlato tanto di quello che è accaduto durante la guerra – dice l’autrice – perché era più importante vivere e andare avanti rispetto a quella sofferenza» e così «il silenzio, mai omertoso ma, piuttosto, generoso e protettivo, ha custodito noi, nuove generazioni, senza provocarci un dolore profondo, e loro, le generazioni del passato, evitando di acuire un dolore talvolta indicibile». Poi, con il tempo, «via via qualcosa si è sciolto – continua Tagliacozzo – e se ne è parlato, seppure sempre con una certa timidezza e titubanza, senza mai fare riferimento alla categoria dell’eroismo ma, invece, a quella del coraggio».

Quando nel 1938 vennero promulgate le leggi razziali, i genitori dell’autrice erano bambini: durante le persecuzioni il padre si salvò per caso da una retata e restò nascosto in un convento per tutti i mesi dell’occupazione; la madre si rifugiò in un casolare di campagna e poi, dopo la fuga attraverso le Alpi, in un campo di internamento in Svizzera. «Ho tentato di ricostruire la storia di due famiglie – quella dei nonni materni e quella dei nonni paterni -, che racchiude in sé i destini di tanti altri ebrei di quel tempo», spiega ancora Tagliacozzo. «È un viaggio tra le diverse possibilità e i differenti esiti: c’è chi è stato salvato dai giusti e chi è stato condannato dagli infami».

Raccontare «a un certo punto diviene un’esigenza insopprimibile – riconosce la scrittrice -: si tratta, da un lato, di dare senso compiuto a quelle memorie familiari raccolte per anni, dall’altro, di volerle trasmettere alle nuove generazioni, cucendo insieme le poche informazioni, riempendo i buchi della memoria, indagando tra le omissioni e le rimozioni». Perché «non e vero che le generazioni nate dopo la persecuzione sono pacificate e serene: è come se attraversassero un deserto – sottolinea Tagliacozzo -. Quel deserto, come nella Bibbia, è una progressiva assunzione di responsabilità, la costruzione di uno spazio che lascia liberi gli interrogativi, perché è la possibilità di domandare ciò che rende libero l’essere umano».

Le storie individuali «arrivano al cuore di chi legge sicuramente in modo più diretto ed immediato – continua l’autrice -, tuttavia lo sforzo di dare voce ai singoli va sempre accompagnato dall’ancoraggio alla storia con la “s” maiuscola, con la quale deve esserci un rapporto dialettico, perché si tratta di raccontare anche quello che ha interessato oltre 6 milioni di persone». Per Tagliacozzo «è importante creare un legame tra passato e presente, scoprendo come la storia pone ancora delle domande alle coscienze delle persone», perché «la Shoah non è finita e l’antisemitismo e il razzismo non sono stati sconfitti definitivamente con il 25 aprile se ancora oggi certe parole di odio corrono sui social e sono in qualche modo legittimate dal contesto pubblico».

L’autrice mette in luce la pericolosità di certi comportamenti violenti anche in riferimento ad un attacco hacker che ha interessato una sua recente presentazione online: durante la diretta alcuni utenti si sono infiltrati inneggiando al nazismo e augurando alla Tagliacozzo e alla sua famiglia la morte nei forni crematori. Da qui la sottolineatura dell’importanza di «educare le nuove generazioni, lavorando con i bambini sui temi del bullismo e della discriminazione, che nascono dall’uso scorretto delle parole, dalle offese gratuite». In particolare Tagliacozzo, che è anche autrice di testi destinati ai più piccoli, si reca spesso nelle scuole e nelle biblioteche di tutta Italia per presentare i suoi libri, riconoscendo nei bambini «degli interlocutori straordinari e acuti, che hanno diritto a conoscere la verità, ovviamente raccontata alla loro portata, ma ragionando sulla linea del tempo, per costruire e onorare la memoria, per ragionare su quei tempi e sui nostri tempi». Perché «con le storie sulla Shoah è facile far commuovere e far piangere i bambini ma ciò che conta è che cosa ne è, dopo, di quelle lacrime, che cosa ne faranno i piccoli».

Nei suoi racconti Tagliacozzo riporta un episodio capitato al nonno, per un periodo prigioniero a Regina Coeli, prima di essere deportato ad Auschwitz. «Dal carcere riusciva a far arrivare delle lettere a casa – spiega -. Quali mani agivano quel meccanismo in uno stato autoritario come quello di quel tempo? Erano mani omertose o generose? E le nostre mani, oggi, cosa sarebbero disposte a fare?».

25 gennaio 2021

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