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Venerdì 5 Dicembre 2025 14:12

Roma Est cercata e ritrovata: conversazione con Giuseppina Granito su Roma cerca Roma

Roma Est cercata e ritrovata: conversazione con Giuseppina Granito su Roma cerca Roma


Con piacere riportiamo la chiacchierata tra Maria Teresa Natale, presidente dell’Associazione culturale GoTellGo, e Giuseppina Granito, autrice del libro Roma cerca Roma: esplorazioni a Est (Roma: Palombi, 2024), presentato il 4 dicembre 2025 presso Monteverde Living Lab. Giuseppina Granito, monticiana trasmigrata a Roma 70, è consigliere di Italia Nostra e da sempre si occupa della […]

Roma Est cercata e ritrovata: conversazione con Giuseppina Granito su Roma cerca Roma


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Roma Est cercata e ritrovata: conversazione con Giuseppina Granito su Roma cerca Roma


Con piacere riportiamo la chiacchierata tra Maria Teresa Natale, presidente dell’Associazione culturale GoTellGo, e Giuseppina Granito, autrice del libro Roma cerca Roma: esplorazioni a Est (Roma: Palombi, 2024), presentato il 4 dicembre 2025 presso Monteverde Living Lab.

Cortesia Giuseppina Granito
Cortesia Giuseppina Granito
Giuseppina Granito, monticiana trasmigrata a Roma 70, è consigliere di Italia Nostra e da sempre si occupa della difesa del territorio e del paesaggio dagli abusi edilizi. Questi temi, insieme alla tutela del diritto alla salute, ricorrono nelle sue innumerevoli attività pubblicistiche. Sin dal 2013 partecipa alle esplorazioni urbane organizzate dalla nostra Associazione, per la quale ha anche contribuito come redattrice nel presente blog.

Il libro del quale si tratta in questo articolo si compone di 13 capitoli (Casilina e Prenestina: due strade, un destino; Binari, quel tram è un monumento; Voci dai quartieri; Centocelle tra storia e archeologia; Spazi antropici al Casilino; Le mille risorse del Prenestino; I muri parlano, le mura raccontano; Arte e fede, espressioni popolari; La forma dell’acqua; Roma fuori le mura; Castelli, torri, ponti; Immagini di cintura; Viaggio nell’agro tra isole e casali). Non si tratta di una guida, ma di un racconto per frammenti: ogni capitolo è composto da nove isole narrative – ricordi, incontri, considerazioni che disegnano il paesaggio umano e urbano di Roma Est – per un totale di 117 quadri di periferia.

Per dare il via alla conversazione, vi proponiamo le prime righe della seconda isola [da: San Giovanni, Stazione Museo, p. 14] e le ultime del volume [da: Zeroqualcosa, p. 166]:

Ben trovati. Destinazione Giardinetti. Inizia così l’esplorazione. Si viaggia senza conducente, un’assoluta novità. All’inizio, una vertigine. Mi sento spaesata, penso di essere trasportata da un’entità astratta, incontrollabile. Poi prendo confidenza con il convoglio e mi avvolge l’ebbrezza di un percorso misterioso, tutto da scoprire: come quando, da bambina, mi divertivo a perdermi nei vicoli del centro di Roma senza una meta precisa.

… senso primordiale ha avuto questo percorso tra segreti e scoperte di Roma Est. Un inaspettato, sorprendente, rivelatore viaggio nel passato. 

Maria Teresa: Giuseppina, com’è nata l’idea di scrivere questo libro?

Giuseppina: Prima di rispondere alla tua domanda, vorrei ringraziare tutti coloro che sono venuti alla presentazione e vorrei ringraziare Appasseggio, una realtà associativa a cui devo molto: grazie alle passeggiate ed esplorazioni condivise è nata la mia voglia di conoscere meglio il territorio e di raccontarlo dal mio punto di vista. E poi, a mano a mano, scrivendo il libro, sono affiorati dalla memoria tanti ricordi.

Il libro è nato, apparentemente, da una curiosità: quella per l’inaugurazione della metro C. Io non amo le inaugurazioni, perché sono tagli di nastro e passerelle in cui intervengono sempre i vari personaggi. Però quella volta andai – era il 12 maggio 2018 – perché l’inaugurazione si teneva proprio davanti alla mia vecchia scuola, la “Giosuè Carducci” di via La Spezia.

Io sono nata a Monti, ma la mia infanzia l’ho trascorsa a San Giovanni e la mia adolescenza fino alla gioventù a Monteverde, quindi sono legata anche a questo quartiere. Tuttavia il territorio di Roma Est mi si è svelato pian piano proprio grazie alla metro C, perché mi incuriosiva – come racconto nel libro – questa metropolitana senza conducente. Tanto che, la sera, al termine dell’inaugurazione, tornai di nuovo alla stazione della metro.

La fermata della metro C a San Giovanni [Foto: Maria Teresa Natale, 2019, CC BY NC SA]
La fermata della metro C a San Giovanni [Foto: Maria Teresa Natale, 2019, CC BY NC SA]
Tornai con un mio amico: arrivammo a Giardinetti, – un nome evocativo, no? “I giardinetti” mi ricordano l’infanzia -, scendemmo  e c’era il vuoto. Tutto buio, un quartiere abbandonato.

Finché non entrammo in un locale, una pizzeria. Lì si accese davvero la prima ispirazione del libro, perché lì ho trovato un mondo. Un mondo, un gruppo di persone che amava stare insieme, che cantava, che festeggiava il sabato sera e il fine settimana: una cosa che, nei quartieri più centrali, non troviamo più. Non so com’è oggi Monteverde, un tempo c’era una comunità anche lì, quando io ero ragazzina, stavamo di fronte ai bar, ci incontravamo. Adesso vedo che è un po’ cambiato – forse gli amici mi confermeranno se ho ragione o meno.

Insomma, i nostri quartieri sono cambiati. Invece, nella ex borgata Giardinetti, io ho trovato un mondo, e questo mi ha spinto a raccontare quello che avevo visto. Tanto che, vedendo questo fervore, decisi di ritornarci, di riprendere la metropolitana.

Man mano che proseguivo nei miei “viaggi su rotaia”, era come se il territorio mi avvolgesse: lo scoprivo sotto un aspetto diverso, non solo attraverso le persone che lo abitavano, ma attraverso la conformazione stessa del territorio – queste borgate irregolari e vivaci, queste case venute su per caso.

E qui, oltre alla curiosità, subentrava l’elemento memoria. Perché la memoria? Perché da bambina, piccolissima, queste borgate le frequentavo. Le frequentavo con una zia che faceva nascere i bambini delle donne povere che abitavano in baracca. Io la accompagnavo – la chiamavano anche di notte e lei, da sola, non se la sentiva di affrontare il viaggio – e così cominciai a conoscere questi quartieri.

Per me bambina era una meraviglia vedere queste casette quasi di campagna, con le galline, magari l’orto vicino, e ancora galline. E da qui il rivolo d’acqua in mezzo alla borgata. Quel ricordo mi è rimasto dentro, e riaffiorava mentre tornavo a frequentare queste zone, queste periferie.

La via Prenestina a pochi passi da Porta Maggiore [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
La via Prenestina a pochi passi da Porta Maggiore [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
[Da: Un triangolo creativo, p. 16]

Tito Livio: le ha raccontate, Plinio il Vecchio ne esaltava la capacità strategica. Prenestina e Casilina, strade consolari dall’epoca arcaica, sono lì a testimoniare il passato e, paradossalmente, rappresentano gli aspetti più evidenti di una controversa contemporaneità.
Nel loro perimetro racchiudono un triangolo escluso dai circuiti turistici tradizionali e non alieno da continue trasformazioni. Il vertice occidentale incuneato ai piedi di Porta Maggiore; in principio l’area trovava il suo limite in via dell’Acqua Bullicante, ma a mano a mano il triangolo si è dilatato verso est: borghetti, borgate, suburbi, quartieri moderni, grandi arterie tangenziali. Alla base della figura geometrica, un mosaico di genti e popoli, un’addizione continua. Al vertice i simboli: strade, templi, sepolcri, ovvero il cammino, la speranza, la memoria.

Maria Teresa: è in questo triangolo magico che hai ritrovato Roma?

Giuseppina: Qui entra in gioco un po’ il titolo del libro: Roma cerca Roma. E viene da chiedersi: ma qual è la vera Roma oggi? È quella del centro storico, massacrato dal turismo mordi e fuggi? È quella dei quartieri che sono diventati nuclei in cui con il vicino di casa non ci incontriamo più , ci incontriamo al centro commerciale, non più sotto il portone? Oppure è questa Roma che rimane un po’ in disparte, che arriva alle cronache soltanto per fatti di cronaca nera, purtroppo? Per cui si è creato anche uno stigma su questi quartieri.

E invece lì ho trovato la Roma vera, la Roma autentica: non solo dei romani, ma anche di tanti, tantissimi nuovi romani, che si sono – o cercano di – amalgamarsi e che popolano queste aree rendendole vive. Perché, insomma, a Tor Pignattara, ad esempio, ormai l’emigrazione è fortissima: i negozi sono tutti in mano agli stranieri, e quindi la chiamano Banglatown. Quello è stato un po’ il primo elemento che mi ha colpito: capire come si sono integrate, o come si tenti di integrare, queste persone.

Accanto a questi nuovi romani, però, ci sono tante associazioni, gruppi di cittadini che si organizzano. Ad esempio l’Ecomuseo Casilino: un’associazione che ha davvero a cuore il proprio territorio, lo scopre, lo vive, lo frequenta, lo racconta. Quindi c’è una certa vivacità culturale, e anche questo mi ha stimolato a frequentare queste aree così vive.
E un discorso da non sottovalutare è quello dell’archeologia: il quinto e il sesto municipio sono, dopo i Fori Romani, tra le aree più ricche dell’Urbe per evidenze archeologiche. Un’archeologia trascurata, ma che ora si sta riscoprendo e valorizzando: qualcuno ne ha capito il valore e la sta riportando a nuova vita. Ad esempio a Largo Irpinia: volevano costruire un parcheggio, ma sono state individuate delle terme, che ora stanno riportando alla luce e valorizzando.

Per cui, secondo me, questo potrebbe essere un elemento in più per Roma. Tanto che, per quanto riguarda la zona dove vivo, nel IX Municipio, scontiamo un grande peccato: aver sotterrato un patrimonio archeologico di primo ordine per costruirci sopra grattacieli e palazzi. Quanto sarebbe stato valorizzato quel territorio mantenendolo, creando un parco archeologico? Si può anche costruire intorno, ma le evidenze archeologiche vanno tutelate e valorizzate.

Resti di casupole nella zona del Quartiere Gordiani [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Resti di casupole nella zona del Quartiere Gordiani [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA][Da: L’eroica Fiat 600, p. 59]

Del borghetto mi è rimasto impresso un profumo, l’odore del rigagnolo al centro dell’abitato, immancabile compagno dei baraccati: un impasto tra detersivo e liquami oscuri, alquanto sgradevole, acqua e terreno insieme, odore di fluidi umani e di disperazione, di fatica e di legami affettivi. Un’immagine simbolica, come quella delle donne con la scopa di saggina, forti e determinate, per allontanare i rifiuti dall’ingresso di casa. Poi donne in fila indiana con le tinozze in mano, o in una nuvola di bambini dietro, tutti diretti all’unica fontanella dell’agglomerato. Ai loro occhi le catapecchie erano più accoglienti dei palazzoni e dovevano essere pulite, invitanti.
Quella borgata era una presenza eroica. Accompagnavo la zia levatrice dei poveri negli anni del boom. Nascite a ripetizione. Aiutava donne a partorire: le benestanti la ripagavano con 9000 lire, le altre ricambiavano in natura: cicoria, fichi, insalata, pomodori, uova fresche, una volta qualche gallina. […] Un’ostetrica e una bimba: strano, ma la fama dei borghetti non consentiva a una donna pioniera, in quegli anni di ricostruzione, di attraversare da sola la periferia malfamata. Ci arrivavamo con la Fiat 600 color crema, targata Roma 348041: Quarticciolo, Centocelle, Borghetto Alessandrino, Grotte Celoni…

Maria Teresa: Sono passati alcuni decenni, le baracche sono state sostituite da palazzi e casermoni popolari. È comunque sempre Roma?

Giuseppina: Mi viene in mente un’escursione a Tor Bella Monaca, quando arrivammo all’ultimo piano di una delle torri – al sedicesimo piano, sul terrazzo – e c’era un ragazzo entusiasta del suo quartiere che ci raccontava che non se ne sarebbe mai andato, perché ci teneva: Tor Bella Monaca non era soltanto delinquenza.

Ci portò lassù e ci fece vedere che, da lontano, Roma si vedeva davvero. Ci raccontava che la mattina, partendo da lì per andare a lavorare – perché Tor Bella Monaca non è solo il quartiere dello spaccio, faceva bene a sottolinearlo – è anche il quartiere dei lavoratori che si alzano alle sei del mattino per arrivare “a Roma”, cioè: “Andiamo a lavorare a Roma”.

Quindi che dire? C’è una Roma — Roma cerca Roma — una Roma che è lontana ma si sente comunque vicina. E anche nella borgata Roma la sentivano vicina, evidentemente. Nonostante fossero considerati emarginati, forse sono proprio loro, ancora oggi, quelli più attaccati alla città, più di tante persone, molto più dei tanti turisti che vengono e la maltrattano.

Lo storico trenino alla stazione di Centocelle [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Lo storico trenino alla stazione di Centocelle [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
[Da: Bambole e ciclamini, p. 80]

Bambole e ciclamini, tormentone estivo. L’espressione fu coniata negli anni Sessanta ed è legata ai brani musicali che, per il loro successo e per il modo ossessivo con cui ti restano in mente, diventano il filo conduttore di tutta la stagione. Nell’estate del ’71, ancora bambini, c’era una canzone di “Un Disco per l’estate”, che non si schiodava dalle nostre orecchie […]. Ricordo tutte le parole: “In in via dei Ciclamini, al 123, vendevano le bambole vestite come me…”. Un testo profondo, a dispetto delle apparenze, che all’epoca non venne colto. La celebrata coppia Pace-Panzeri scrisse il brano nel 1958 per esaltare la legge Merlin e la fine delle case di tolleranza, ma la censura dell’epoca non approvò. Come quei rovelli che ti restano dentro a lungo, anni dopo, passando per Centocelle non puoi non andare a curiosare al 123 di via dei Ciclamini. […]. “Nail art” è scritto in aggraziati caratteri rosa: “decorazione delle unghie”, che un po’ alle bambole rimanda. Allo stesso modo due figurine dello stesso colore compongono l’immagine: una nell’atto di porgere la mano da impreziosire e l’altra pronta a riceverla con sussiego, e ci regalano un’immagine da soap opera.

Maria Teresa: Chi sono i vecchi o nuovi abitanti dei quartieri che hai esplorato? Giovani, stranieri, coppie, anziani?

Giuseppina: Al Villaggio Gordiani mi ha colpito una coppia — un uomo e una donna sulla cinquantina — che ricordavano la loro gioventù nel quartiere negli anni Settanta, quando l’area era in preda allo spaccio totale e i giovani erano rovinati dalla droga. Eppure raccontavano il loro quartiere in modo fiero: erano fieri di aver contribuito a risollevarlo, anche attraverso l’impegno politico, in un’opera di emancipazione dei ragazzi che allora erano dediti alla droga, e molti ne avevano salvati. Mi piace ricordare queste persone come esempi di fierezza e appartenenza: persone che non lascerebbero mai il loro quartiere e che vogliono riportarlo in una nuova luce rispetto allo stigma che c’era allora e che, in parte, c’è tuttora.

E voglio aggiungere: anche a Tor Bella Monaca stanno lavorando molto, perché anche lì ci sono gruppi di cittadini che si danno da fare. Secondo me, la cultura, l’archeologia, la rivalutazione del paesaggio possono essere uno stimolo potente per questi quartieri.

Maria Teresa: Chiese, sale di preghiera islamiche, templi indù, cinesi e buddhisti sono importanti punti di aggregazione delle comunità che abitano il territorio.

Giuseppina: Sì, questo fa parte di un’intensa opera di integrazione che si dovrebbe fare – e che si tenta di fare – in questi quartieri. Perché poi, insomma, si tratta di capire se il confronto tra popoli diversi, tra etnie diverse, può essere un arricchimento o se invece debba essere considerato un aggravio. Io non lo credo: secondo me, se preso nel verso giusto, può essere un arricchimento. Ma è molto, molto difficile, e richiede una grande dose di buona volontà, molto lavoro. Qualcuno ci sta provando.

Il laghetto all'ex fabbrica SNIA [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Il laghetto all’ex fabbrica SNIA [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA][Da: I fossi scomparsi, p. 107]

È un pomeriggio afoso e dolce, di fine estate. Passeggio all’imbrunire, respirando la maestosa mole dell’acquedotto Alessandrino, in cerca di refrigerio e sorprese. Via dei Pioppi, via degli Olmi. Quelle arcate raccontano una storia lontana ma ancora presente: l’epopea del fosso di Centocelle che scorre sotto i fornici, affettuosamente chiamato la marrana, da quella proviene. […] Il 19 dicembre 1942 il fosso esonda e tutto diventa un lago. I poveri abitanti cercano di scampare alle acque con i canotti. […] Forse per questo il Comune decide di seppellirli definitivamente: una colata di asfalto ed ecco la strada di scorrimento. Il prezioso e fluido reticolo distrutto, con i regali che a ogni acquazzone ci fanno i tombini. Ricorda il film di Carlo Verdone, “Il gallo cedrone”, con il programma per il Tevere di Armando Feroci, candidato sindaco: “Ce serve ‘sto fiume, o nun ce serve? E io dico che nun ce serve: asfartamolo, e dopo se score, finalmente a Roma, se score!”.

Giuseppina: Il reticolo dei fossi è una cosa drammatica, perché a Roma sono stati tutti tombati per costruirci sopra e, appunto – come dico nel libro – quando piove non è solo la fogna che non regge: è tutto questo discorso del fosso tombato, perché alla fine l’acqua da qualche parte deve riemergere.

Parlando dei fossi, non posso non ricordare quella che è stata la mia maestra, la persona a cui mi legai per prima e che mi ha molto spinto a iscrivermi a Italia Nostra: Mirella Belvisi, la quale fece una battaglia sui fossi scomparsi. L’abbiamo persa due anni fa, purtroppo, ed è stata una grave perdita, perché per me è stata davvero una maestra sulle battaglie ambientali e sulla tutela del patrimonio e del territorio: il discorso sui fossi con lei lo facevamo molto spesso. E l’ultima battaglia condotta ci riporta un po’ fuori Roma Est e riguarda il fosso delle Tre Fontane, che ricade sempre in quell’area massacrata dai costruttori, dove è sparita l’archeologia.

E, parlando di maestre, non potevo non citare Grotta Perfetta anche nel libro, perché di quell’archeologia scomparsa ho il ricordo in due grandi fotografie — un metro per un metro e quaranta — appese a casa. Non avevo spazio, ma un posto l’ho trovato: vi si vede una villa romana e un basolato quasi intatto, completamente sotterrati. Le vide anche un operaio rumeno venuto a sistemarmi il bagno: vide quelle foto e disse che era un oltraggio all’umanità. Ecco, per lui lo era; per la soprintendenza no. Per loro le torri potevano venire benissimo sopra l’archeologia. E lo stesso accadde per il fosso delle Tre Fontane, un fosso storico dove si dice che sia finita la testa di San Paolo dopo il martirio: anche quello è stato sotterrato e tombato. Quindi, insomma, i fossi sono un elemento importante nelle città, nell’ambiente.

Maria Teresa: Del territorio che hai esplorato, c’è qualche luogo che ti ha particolarmente colpito e a cui sei affezionata?

Giuseppina: Una delle cose che mi è rimasta più impressa, forse perché il quartiere porta ancora un forte stigma, è la via Gabina a Tor Bella Monaca. La via Gabina era l’antica strada che conduceva alla città di Gabii, ma oggi è quasi nascosta, non ci sono cartelli: è quasi fuori Roma, sebbene rientri nel sesto municipio. Mi fece impressione perché era in mezzo ai rifiuti, sotto le torri: un patrimonio così, completamente abbandonato, dimenticato, maltrattato.

Restando in ambito archeologico, un’altra cosa che mi ha molto colpito è il Museo di Archeologia per Roma, nel Casale di Villa Gentile, a Tor Vergata. È un posto che non conosce nessuno, perfino mio nipote, che si è laureato all’Università di Tor Vergata, non la conosceva. Ed è un museo in cui puoi entrare gratuitamente e dove davvero si parla dell’archeologia abbandonata e misconosciuta. È una cosa preziosa: invito tutti a visitarlo, perché è un gioiello.

Scorcio presso l'Orto botanico di Tor Vergata [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Scorcio presso l’Orto botanico di Tor Vergata [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
A Tor Vergata c’è anche un altro tesoro, che è stato chiuso per diversi mesi a causa del Giubileo dei giovani, ma che è molto bello: l’orto botanico. Anche quello è meraviglioso.
E lì ho faticato per trovarlo, perché c’è quasi un cancello nascosto: ma è una vera sorpresa, così come il giardinetto di Torre Maura, un giardino usato come terapia per i ragazzi con difficoltà psichiche, che lì coltivano la terra.

Sono piccoli, piccoli doni che stanno in questi quartieri sconosciuti, a cui la gente è affezionata e che portano un grande beneficio ai gruppi che li frequentano.

Madonna del Divino Amore al Borghetto degli Angeli [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Madonna del Divino Amore al Borghetto degli Angeli [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA][Da: Le capanne dei miracoli, p. 95]

È la sera del 17 maggio 1948. Un gruppo di bambini si diverte giocando a nascondino. Sono monelli di strada, almeno una dozzina, si trovano in via dell’Acquedotto Alessandrino, borgata Torpignattara. Hanno creato nascondigli naturali, tra le maestose arcate del condotto, inconsapevoli del tesoro archeologico che si trovano di fronte. C’è addirittura una capannuccia per meglio occultarsi agli occhi degli altri. Di colpo, tra quegli archi accade qualcosa di inconsueto: una luce assoluta sommerge il gruppo e in quella scia luminosa appare l’immagine della Vergine Maria”. Sembra un racconto fantastico ma è una verità che in molti da queste parti hanno sempre sostenuto, senza trovare conforto nelle autorità ecclesiastiche e nemmeno in qualche prete di periferia. La parrocchia locale li ha sempre ignorati, ma loro non si sono dati per vinti e quella capannuccia, da ricovero per il gioco, l’hanno trasformata in cappella di devozione e – cosa più unica che rara – dispone anche di un numero civico: il 267”.

Maria Teresa: A Roma Est la devozione popolare è ancora molto sentita…

Giuseppina: Sì, lo testimoniano le numerose edicole della Marranella, le tante Madonnine del Divino Amore, l’altarino sulla Casilina di fronte all’Ospedale, immagine che ricorda il voto del 4 giugno 1944, quando il popolo romano si rivolse a Maria chiedendo la liberazione dal giogo tedesco. Per non parlare della particolarissima Madonnella dei ferrovieri, con il mosaico che riproduce un treno in una viuzza del Pigneto.

E poi, come non citare un altro aspetto molto singolare: nelle borgate, quando muore qualcuno, ci sono ancora i manifesti funebri affissi per ricordare il defunto, come nei paesi.
Nella Roma semicentrale non si sono mai visti, e invece nelle borgate ci sono.

Così come c’è la coesione – vuoi per la fede, vuoi per la voglia di stare insieme – come quando è nato il libro, lì in quella pizzeria a fare karaoke. In questi quartieri ho ritrovato tanta spontaneità, tanta vivacità, e questo mi ha molto stimolato nello scrivere.

Che poi, fra l’altro, l’idea iniziale non era affatto quella di scrivere un libro: sinceramente, non ci avrei mai pensato. Poi, dopo aver raccolto tutte queste testimonianze, mi è nata dentro una sensazione, un desiderio di condividerle con molte persone – con gli amici, con chi non le conosce.

Perché la nostra città, forse, la attraversiamo così velocemente, mentre dovremmo imparare a guardarla con occhi nuovi. Io stessa, a volte, mi sorprendo viaggiando in tram, con ritmi più lenti, quelli che dovremmo riconquistare, no? Perché forse corriamo troppo nella quotidianità, e allora diventa importante guardare le cose con occhi diversi: non come fa il turista mordi e fuggi, ma come fa il viaggiatore. Gli antichi del Grand Tour, forse, vedevano le cose così: unendo lo sguardo curioso del viaggiatore a quello del turista, ma con uno spirito diverso.

Maria Teresa: grazie Giuseppina, per questo bel regalo che ci hai fatto invitandoci a scoprire con lentezza il quadrante nordorientale della nostra amata-odiata città. Dal canto mio non posso far altro che contribuire invitando tutti a partecipare al Grand Tour delle Periferie Romane, che ci sta portando a scoprire le periferie camminando lentamente a 360°.

Invito alla lettura:

Giuseppina Granito, Roma cerca Roma: esplorazioni a Est, prefazione di Olga Di Cagno, Roma: Palombi, 2025, 182 p. ISBN 978-88-6060-535-3

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